venerdì 30 dicembre 2011

Italia, 2011: disoccupato vive nel container, pensionata lo aiuta. La pubblica assistenza dov'è?

Dal Messaggero Veneto di giovedì 19 dicembre 2011:

 UDINE. Potremmo definirla “un’altra storia”, diversa dalle solite alle quali riserviamo l’apertura del giornale. Non parliamo di cronaca nera, di fatti cruenti né di giudiziaria. Questa volta parliamo di generosità, e di fede, e della volontà di donare a chi ha meno che non è, evidentemente, scomparsa.
I protagonisti di questa storia sono due persone molto diverse tra loro. Da una parte c’è Carmine, quarantenne napoletano emigrato a Pordenone in cerca di lavoro e di un futuro e finito a vivere in un container messogli a disposizione da un amico. La sua “casa” è dotata di una stufetta insufficiente a scaldarsi e poco altro. non ha abiti di ricambio, ha un lavoretto saltuario che non gli consente di mettere insieme il pranzo con la cena, ma è deciso a non rinunciare: «A Napoli a mani vuote non ci voglio tornare», aveva raccontato alla collega del Messaggero Veneto il giorno di Santo Stefano.
La vicenda di Carmine, raccolta da Chiara Benotti, è stata pubblicata dal nostro giornale insieme ad un appello: «Se qualcuno vuole darmi un’occupazione o un tetto per avere meno freddo la notte, oppure un paio di jeans e un maglione...».
La richiesta di Carmine non è caduta nel vuoto. A raccoglierla è stata una signora, pensionata, di San Quirino il cui nome siamo riusciti a strapparle dal riserbo che sempre caratterizza la gente pordenonese. Lucia Graziani, si chiama, e vive «della mia pensione», e certamente non è un vitalizio da nababbi. Non solo, il figlio sconta, come tanti altri in questa provincia, il prezzo della crisi: l’azienda per cui lavora ha fatto ricorso alla cassa integrazione, dunque stipendio ridotto per le ore non lavorate. Eppure «io ho tanta fede - spiega la signora Lucia nel corso della telefonata in redazione per chiedere informazioni su dove rintracciare Carmine - e dove si mangia in due si mangia anche in tre».
E’ pronta ad aprire le porte della propria casa, questa coraggiosa donna, a qualcuno che non conosce ma che sa avere bisogno di un pasto caldo e di un tetto sulla testa. Ci sono, per Carmine, anche alcuni capi di abbigliamento, forse non nuovissimi ma dignitosi. E, infine, la speranza di un lavoro. Lucia si è infatti rivolta ad un’officina che sta ricercando collaboratori e intende mettere in contatto il proprietario dell’azienda con il quarantenne disoccupato, che in precedenza ha fatto il metalmeccanico salvo perdere il posto a causa di una delle tante riorganizzazioni che la congiuntura negativa ha imposto a molte imprese del Friuli occidentale.
Come promesso vi abbiamo raccontato un’altra storia, una storia di solidarietà, di generosità, di disponibilità. Una storia a lieto fine che ricorda tanto quella delle fiabe e come accade per le favole, è in grado di insegnare qualcosa a chi sa ascoltare. Ed è con un pizzico di gioia che l’abbiamo raccontata per essere stati lo strumento grazie al quale queste persone, Lucia e Carmine, si sono incontrate.
Elena Del Giudice 

Infatti, una bella e confortante vicenda di solidarietà umana fra persone comuni: vada tutto il nostro apprezzamento alla signora Lucia e un forte augurio di buona fortuna a Carmine.
Tuttavia, in questa storia c'è qualcosa che merita invece tutt'altro giudizio: vi sembra possibile che a Pordenone, nel ventunesimo secolo, non ci sia una istituzione pubblica in grado di assicurare un minimo di aiuto a un cittadino, sia pure residente altrove ma comunque cittadino italiano, a un lavoratore che non certo per sua volontà è rimasto privo di occupazione e di un alloggio, che non ci sia un solo ente pubblico che possa offrire a quest'uomo almeno un posto letto e un pasto decente? che debba essere invece una persona che oltretutto non naviga certo nell'oro ad aiutare Carmine in forma personale quando dovrebbe essere normalissimo che in una città di una nazione evoluta del mondo occidentale esistano delle forme di soccorso efficaci per situazione di questo genere, che fra l'altro da noi non sono poi così diffuse.
Alla struttura pubblica italiana, in questo caso così come in tanti altri, vada tutto il nostro disprezzo e la nostra indignazione.

 Renato Valusso



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