martedì 31 maggio 2011

Avaaz: ci restano 72 ore per porre fine alla guerra della droga e chiedere un migliore approccio al problema

La situazione si fa seria: nel giro di 72 ore incontreremo il Segretario Generale dell'ONU, e abbiamo quasi raggiunto mezzo milione di voci! Dillo a tutti!

Cari amici,




Fra 72 ore un gruppo di potenti leader mondiali chiederà all'ONU di mettere fine alla guerra contro le droghe e intraprendere così la strada della regolamentazione. Ma i politici dicono che l'opinione pubblica sarebbe contraria alle politiche alternative in materia di droghe. Sfruttiamo questa opportunità dandole un supporto enorme e ottenere così un'azione immediata. Firma sotto e fai il passaparola!


Nel giro di 72 ore potremmo finalmente assistere all'avvio della fine della "guerra alle droghe". Questa costosissima guerra contro la piaga della dipendenza dalle droghe ha fallito miseramente, mentre ha lasciato sul campo numerose vite umane, ha devastato intere comunità, e ha versato miliardi di euro nelle casse di violente organizzazioni criminali.

Gli esperti sono d'accordo nel sostenere che la politica più efficace sia la regolamentazione, ma i politici hanno paura di toccare l'argomento. Fra qualche giorno una commissione globale, cui parteciperanno fra gli altri i Capi di stato e i responsabili degli affari esteri di ONU, UE, USA, Brasile, Messico e molti altri, romperà il tabù e chiederà pubblicamente un nuovo approccio, che comprenda la depenalizzazione e la regolamentazione delle droghe.

Questo potrebbe essere un momento cruciale, di quelli che capitano rarissimamente; se però saremo in molti a chiedere la fine di tutta questa follia. I politici dicono di capire che la guerra alle droghe ha fallito, ma ritengono che l'opinione pubblica non sia preparata per l'alternativa. Dimostriamo loro che siamo pronti ad accettare solo una politica sana e umana: lo esigiamo. Clicca sotto per firmare la petizione e condividerla con tutti: se raggiungeremo mezzo milione di voci, la consegneremo personalmente ai leader mondiali presenti alla commissione globale:

http://www.avaaz.org/it/end_the_war_on_drugs/?vl

E' da 50 anni che l'attuale politica sulle droghe ha fallito con chiunque e ovunque, ma il dibattito pubblico si è impantanato nella palude della paura e della disinformazione. Tutti, persino il dipartimento ONU sulle Droghe e il Crimine, che è responsabile dell'implementazione di questa politica, ritengono che l'utilizzo di militari e poliziotti per bruciare le fattorie della droga, la caccia ai trafficanti, e il carcere per gli spacciatori e i drogati, siano uno sbaglio che stiamo pagando molto caro. E con il costo enorme in termini di vite umane, dall'Afganistan al Messico agli USA, il traffico illegale di droga sta distruggendo paesi in tutto il mondo, mentre la dipendenza, le morti per overdose e le infezioni di AIDS/HIV continuano a crescere.

Nel frattempo i paesi che non usano il pugno duro, come la Svizzera, il Portogallo, l'Olanda e l'Australia, non hanno registrato l'esplosione nell'uso di droghe che i promotori della guerra alle stesse avevano predetto. Al contrario, hanno visto un declino significativo dei crimini legati alla droga, delle dipendenze e delle morti, e sono in grado di focalizzarsi esclusivamente sulla lotta contro gli imperi del crimine.

Lobby molto potenti stanno cercando di ostacolare la via del cambiamento, inclusi i militari, le forze dell'ordine, e i dipartimenti carcerari, i cui budget sono ora in pericolo. E i politici temono che gli elettori li mandino a casa se sosterranno politiche alternative, perché potrebbero apparire deboli nelle politiche sulla sicurezza. Ma molti ex Ministri sulle droghe e Capi di stato si sono espressi in favore della riforma non appena hanno lasciato il loro incarico, e i sondaggi dimostrano che i cittadini in tutto il mondo sanno che le politiche attuali sono un disastro. Sta arrivando l'ora delle nuove scelte, particolarmente nelle regioni devastate dal traffico di droga.

Se nelle prossime 72 ore riusciremo a creare un appello globale in favore delle dichiarazioni coraggiose della Commissione Globale sulle Politiche sulla Droga, potremo essere più forti delle scuse per il mantenimento dello status quo. Le nostre voci hanno in mano la chiave del cambiamento: firma la petizione e fai il passaparola:

http://www.avaaz.org/it/end_the_war_on_drugs/?vl

Abbiamo la possibilità di cominciare il capitolo conclusivo di questa “guerra” brutale che ha distrutto milioni di vite. L'opinione pubblica globale determinerà se questa politica catastrofica sarà fermata o se i politici sgattaioleranno via dalla riforma. Attiviamoci immediatamente per spingere i nostri leader, esitanti dal dubbio e dalla paura, fino alla ragione.

Con speranza e determinazione,

Alice, Laura, Ricken, Maria Paz, Shibayan e tutto il team di Avaaz

FONTI:

I dati che dimostrano che la guerra alle droghe ha fallito (in inglese)
http://idpc.net/publications/failure-regime-selected-publications

I dati che dimostrano che gli approcci alternativi come la depenalizzazione stanno funzionando (in inglese)
http://idpc.net/publications/alternative-strategies-selected-publications

Relazione generale sulla legislazione messa in pratica di riforma delle droghe (in inglese)
http://www.tni.org/report/legislative-innovation-drug-policy

Cosa possiamo imparare dalla depenalizzazione delle droghe in Portogallo? (in inglese)
http://bjc.oxfordjournals.org/content/50/6/999.abstract

La Commissione Globale sulle Politiche sulla Droga che chiederà all'ONU di mettere fine alla guerra contro le droghe
http://www.globalcommissionondrugs.org/Documents.aspx

La guerra alle droghe in cifre (in inglese)
http://www.drugpolicy.org/facts/drug-war-numbers

La relazione finale della Commissione latinoamericana sulle droghe e la democrazia (in inglese)
http://www.drogasedemocracia.org/English/Destaques.asp?IdRegistro=8


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domenica 29 maggio 2011

Che cosa sta succedendo

Dal sito de Il Fatto Quotidiano del 26 maggio 2011


La Fiat sempre più americana, cronaca 

di un abbandono annunciato

Chrysler restituisce il prestito governativo e Fiat scala nuove posizioni. Con l’approssimarsi di quota 51% nella proprietà, Marchionne parla apertamente di fusione. Una prospettiva che rischia di marginalizzare il ruolo dell’Italia. Alla faccia dei proclami “nazionalistici” con cui buona parte del mondo politico e sindacale accolse l’esito del referendum del gennaio scorso.
Un passo indietro per rinfrescare la memoria, parte prima. Torino, 15 gennaio 2011. Con il 54% dei Sì, i lavoratori di Fiat Mirafiori promuovono l’accordo separato del 23 dicembre che riconosce il cambio di rotta richiesto dall’Ad Sergio Marchionne. Un successo sorprendentemente risicato su cui pesa il voto “bulgaro” dei colletti bianchi. Tra le circa 4.500 tute blu, i Sì si sono imposti per appena 9 voti. L’accordo sindacale appoggiato da tutte le sigle con l’eccezione della Fiom entra dunque in vigore con tutto il suo corollario di sacrifici scaricati sulle spalle degli operai. E il plauso è pressoché unanime. Se vincesse il No «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi» aveva dichiarato solo pochi giorni prima il premier Silvio Berlusconi agitando lo spauracchio della temuta fuga del Lingotto dall’Italia. Un timore, o per meglio dire un ricatto, alla base di quelle ragioni del Sì puntualmente ribadite al termine della consultazione.
Un passo indietro per rinfrescare la memoria, parte seconda. Una breve rassegna dei commenti principali nel day after referendario. Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl: «E’ un risultato prodigioso, è la prima volta che si vince un referendum a Mirafiori». Paolo Romani, ministro dello Sviluppo economico: «La vittoria del sì è uno snodo fondamentale per la costruzione del futuro di Mirafiori. Adesso Fiat ha tutte le carte in regola per tornare a essere una grande azienda multinazionale italiana». Pierluigi Bersani, leader del Pd, più cauto: «Adesso quel risultato va rispettato, e va rispettato anche per quel tanto di disagio che rappresenta. Quindi ora Fiat mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori». Francesco Rutelli, Alleanza per l’Italia: «un risultato che è segno di grande responsabilità da parte dei lavoratori di Mirafiori». Pier Ferdinando Casini, segretario Udc «nel sì di Mirafiori c’è una grande saggezza». Luigi Angeletti, segretario generale Uil: «Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro». Infine Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim Cisl: «Nasce lo stabilimento del futuro. Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit».

Sterling Heights, Michigan, 24 maggio 2011. Per Sergio Marchionne arriva il giorno della gloria o, per lo meno, quello della festa annunciata. Solo che il party non è stato preparato a Torino bensì proprio nel principale sobborgo di Detroit, la “motown” per eccellenza, la città della Chrysler. L’azienda americana completa il rimborso del maxi prestito congiunto contratto con i governi di Usa e Canada, un fardello da oltre 7 miliardi di dollari la cui restituzione consente alla Fiat di completare un’ulteriore tappa della propria scalata. La partecipazione del Lingotto in Chrysler sale al 46%, con un nuovo avvicinamento alla quota obiettivo del 51%, preludio alla definitiva fusione. Nonché, si intuisce, al definitivo abbandono di Torino, centro direzionale ormai inadeguato a un’impresa globale quale la nuova creatura dovrebbe essere.

«Noi stiamo facendo il possibile per accelerare questo ritmo ed arrivare, nel più breve tempo possibile, alla nascita di un solo gruppo in grado di garantire maggiore stabilità e forza alla relazione nell’interesse di entrambi i partner» ha spiegato Marchionne. E non sono parole casuali. Il gruppo si prepara alla fusione, una questione “non immediata” ma anche un traguardo scontato. Così come scontato, ed è questo l’aspetto principale della questione, è il trasferimento della sede decisionale negli Stati Uniti. Troppo importante il mercato americano per non assumere il ruolo di core business del gruppo, troppo depressa l’economia italiana per garantire un incremento delle vendite capace di rilanciare la coppia Fiat-Chrysler. Il mercato italiano, scriveva a novembre l’Economist, è troppo “piccolo e poco competitivo per garantire una sopravvivenza a lungo termine”. Come a dire che ad esso dovrà essere riservato un ruolo marginale. E’ vero, Marchionne ha confermato l’impegno da 20 miliardi per Fabbrica Italia ma il futuro, a rigor di logica, sembra lontano dal capoluogo.

Il rilancio di Chrysler, compagnia tecnicamente fallita nel 2009, è una priorità oltre che l’obiettivo più ragionevolmente conseguibile a fronte delle potenzialità del mercato Usa. L’azienda ha sì restituito il prestito ma non lo ha fatto mettendo mano agli utili bensì emettendo nuove obbligazioni. In pratica Detroit deve ancora fare fronte un debito da 7,5 miliardi, con la differenza che questa volta i tassi sono decisamente più bassi (gli interessi caricati da Washington e Ottawa oscillavano tra il 14% e il 20%) con un risparmio previsto di 300 milioni di dollari all’anno. A febbraio Marchionne aveva rotto gli indugi ipotizzando un trasferimento del quartier generale proprio a Detroit. L’ipotesi intermedia di un doppio centro direzionale diviso tra il Michigan e il capoluogo piemontese resta un’idea estremamente labile e decisamente poco convincente. Marchionne, guarda caso, non ne parla e agli esperti di organizzazione industriale l’ipotesi sembra sostanzialmente irrealizzabile. “Come fai a gestire 23 persone che riferiscono a te a Detroit e altre 25 a Torino?” si chiese retoricamente il presidente di Chrysler Robert Kidder in un’intervista al Wall Street Journal dello scorso febbraio. “Non scherziamo, è chiaro che se la sede è in America e un domani arriva un governo democratico di Cuba che offre condizioni vantaggiose, Marchionne non ci penserebbe due volte a spostare la produzione da Torino all’Avana – spiegò al tempo stesso un ex dirigente Fiat al Fatto Quotidiano. L’Italia sarà alla pari della Polonia o del Brasile: una colonia”.

Probabile. Di certo, però, non sarà la colonia più promettente. Per lo meno dal punto di vista degli azionisti. Le cifre le aveva ribadite l’Economist nel recente passato: “In Italia – scriveva a novembre il settimanale britannico – 22mila lavoratori distribuiti su cinque fabbriche producono ogni anno 650mila automobili. Nella principale installazione Fiat in Brasile, appena 9.400 dipendenti ne realizzano 750mila. L’impianto polacco fa ancora meglio: 6.100 lavoratori per 600mila vetture”. Le conseguenze sono ovvie. “E’ facile immaginare che la Fiat possa lasciare appassire i propri impianti (in Italia – ndr) iniettando nuovi investimenti nei Paesi caratterizzati da una crescita delle vendite e da una produttività più alta”. Il piano di Fabbrica Italia resta, d’accordo, ma ciò non toglie che nel medio lungo periodo la Penisola rischi di diventare sempre più marginale. Siamo sicuri, dunque, che la scelta “obbligata” del Sì al referendum fosse davvero giustificata? Insomma, ne valeva davvero la pena?

La risposta negativa, a suo tempo, la diede di fatto solo la Fiom di Maurizio Landini, lo stesso Landini con il quale Marchionne si augurerebbe di avere “lo stesso rapporto” che ha “con Bob King”, leader della United Auto Workers (UAW), il principale sindacato Usa del settore. Quello che Marchionne non dice, tuttavia, è che la Uaw è anche il maggiore azionista di Chrysler con il 45% dei titoli. Quando la Fiat raggiungerà la maggioranza, l’organizzazione di King continuerà a controllare il 41% dell’azienda. In sintesi, la Fiat dovrà pensare ai suoi azionisti, la Uaw anche. Solo che in quest’ultimo caso gli stakeholders saranno, in pratica, i lavoratori stessi. La domanda, quindi, è ovvia: in caso di “conflitto” tra Mirafiori e Sterling Heights quali operai avranno le maggiori probabilità di essere tutelati? Chissà se la coppia Angeletti-Bonanni avrà voglia di azzardare una risposta.

Ricordate quello che scrissi nel post su Mirafiori pubblicato su questo blog in data 29 gennaio 2011?
Ve lo riporto sotto integralmente.

Chiedo spazio per alcune righe sui fatti di Mirafiori, evento emblematico del corso della politica economica in Italia e in Europa.
Stiamo assistendo ad un feroce attacco ai diritti dei lavoratori che rappresenta la continuazione di un più vasto piano di indebolimento del lavoro salariato in Europa , supportato in questo caso da una campagna che si regge in buona parte sul falso. A quest'ultimo proposito, alcuni dati:
1°) Fiat Group Automobiles, in tutto il 2010, ha immatricolato 589mila vetture rispetto alle 707mila del 2009, con un calo dei volumi pari 16,7 per cento. Wolkswagen, Renault, Citroen, Bmw vendono e si espandono sui mercati, Fiat no. Le sue auto vendono di meno da anni, quindi il problema non sta nello scarso rendimento del personale operaio ma nel prodotto.
2°) Stime ufficiali ci dicono che il costo del lavoro non pesa più dell'8 per cento sul prodotto finale.Va ricordato che i nostri salari sono tra i più bassi dell'Occidente.
3°) L'assenteismo in Mirafiori è nell'ordine del 6 per cento, quindi in realtà a livelli assolutamente fisiologici.
4°) L'operazione Chrysler non è stata una conquista napoleonica di Sergio Marchionne ma una mossa in extremis: la Fiat era sull'orlo del fallimento, Chrysler anche, i fondi stanziati da Obama e il ricatto occupazionale hanno chiuso il cerchio.
Da notare che i lavoratori della Chrysler, che per poter salvare il posto hanno accettato un aumento dell'orario di lavoro e la riduzione del salario, non godono, come tutti negli Stati Uniti, di pensione e assistenza medica garantite in quanto da loro questi diritti sono aziendali: se l'azienda fallisce il dipendente non perde solo il salario ma anche pensione e assistenza (solo gli americani benestanti stipulano un'assicurazione propria) e da questo non sembra azzardato dedurre che spiegare ai responsabili dell'Uaw,il sindacato unico dei lavoratori Chrysler, al quale Obama ha affidato il controllo della fabbrica, come i lavoratori italiani possano contrattare condizioni di lavoro migliori, con una futura pensione (sia pure ipotetica di questi tempi e comunque misera) e l'assistenza medica già garantite dallo Stato, esporrebbe Marchionne a delle contestazioni e a delle richieste, soprattutto richieste, non gradite.
Inoltre, l'accordo di Mirafiori propone di vietare lo sciopero e la rappresentanza sindacale a chi non aderisce: se in Italia esistesse una vera opposizione politica, questo attentato ai diritti dei cittadini prima ancora che a quelli dei lavoratori le basterebbe ed avanzerebbe per motivare un netto rifiuto.
E' ripugnante che un'azienda come la Fiat che per decenni ha ricevuto dallo Stato ogni sorta di finanziamenti e di incentivi, senza mai aver mantenuto le promesse di investimenti privati e nel prodotto, anzi gli Agnelli quei soldi li hanno trasferiti all'estero, oggi si permetta di taglieggiare a questo modo i lavoratori italiani.
Vorrei fosse chiaro a tutti che la tremenda crisi economica che stiamo cominciando a conoscere in modo palpabile altro non è se non il risultato di una serie dissennata di speculazioni ed è di fatto essa stessa una speculazione, giocata sulla vita dei popoli e che quegli stessi poteri economici che hanno originato il disastro lo stanno volgendo a proprio esclusivo vantaggio, indifferenti al danno sistemico che provocano in tal modo. In altre parole: sempre più soldi a chi ha fatto il danno e le conseguenze negative che se le becchino i popoli, tanto sono lì solo per quello.
Non posso però esimermi dal rivolgere un ulteriore pensiero ai ricattati della Fiat: coraggio,amici ,male che vada lo sapete che non finirete alla stessa stregua degli operai cinesi ,perlomeno non ancora, anzi vi posso assicurare che starete comunque meglio, finchè durerà e quindi ancora per pochi anni, di milioni di altri lavoratori, italiani e immigrati, che vengono sfruttati ignobilmente ogni giorno dalle troppe sedicenti cooperative di servizi e di produzione lavoro o da aziende scalcinate o truffaldine e per i quali, in novantanove casi su cento, la rappresentanza sindacale è ed è sempre stata soltanto una parola. Del resto il potere economico già da anni, nel perseguire una strategia volta esclusivamente ad ottenere grandi profitti per il capitale privato, è arrivato alla bestemmia di precarizzare il lavoro, che è la linfa vitale dei popoli, con il pretesto della flessibilità.
I diritti dei lavoratori non devono essere frutto di una fase economica prospera o dell'impegno dei sindacati nell'ambito di una singola grande azienda: o ci sono o non ci sono e se ci sono devono essere uguali per tutti. Non devono essere un mercato e un sistema iniqui e fallaci che creano esclusivamente grandissimi profitti per pochi a discapito di tutti gli altri, sostenuti in questo da dei governi-fantoccio, a stabilire se possiamo considerarci di volta in volta degli esseri umani con tutti i nostri diritti oppure degli automi o del bestiame da macello. Se non si capisce questo, non ci sarà mai niente da fare.
Tutto lascia supporre, considerando il contesto globale, che il futuro deciso dall'alto per i lavoratori della Fiat, all'incirca come quello che si verificherà per milioni di altri operai europei, sarà quello di assemblare auto americane in pochi stabilimenti, in numero sempre più ridotto, per remunerazioni sempre più basse, fino a quando gradualmente il lavoro umano alla catena di montaggio verrà soppiantato del tutto dall'automazione, come è già avvenuto in altre zone del mondo.
Cambiare l'assetto monetaristico ed economico delle nazioni, per ottenere condizioni di vita e di lavoro più eque per tutti, è ancora possibile: esistono idee di insigni economisti che possono essere utilizzate per farlo ma l'azione propositiva e di cambiamento deve cominciare dal basso perchè a chi sta in alto, e intendo dire molto più in alto della stessa casta dei politici, e detiene le leve del potere economico questo infame modello di" sviluppo" neoliberista e neomercantilista rende più che bene.
Soltanto l'associazionismo tra semplici cittadini e il diffondere l' idea economica alternativa possono condurre ad un cambiamento: non c'è un'altra via da percorrere.
Non c'è.

 Già che ci siete, guardatevi questo video:



 e anche questo:



Insomma, c'è poco da essere ottimisti: chi veramente guida il vapore ha tutto l'interesse a nascondere la verità, la stragrande maggioranza delle persone è completamente ignara dei meccanismi economici che sovrintendono al suo destino e a quello dei suoi figli, quei pochi che chiaramente o in confuso hanno capito non hanno la possibilità concreta di agire per cambiare il corso delle cose e forse ormai è troppo tardi per poterlo fare.
Forse tre cose soltanto ci restano e sono: pensare, resistere, testimoniare.
Credo che comunque in un futuro, forse non prossimo, se sapremo pensare con la nostra testa e insegnare a chi prenderà il nostro posto, quando noi non ci saremo più, la dignità, il coraggio e la consapevolezza  che l'attuale sistema di disvalori ha tolto a noi, potrà crescere una società più giusta e libera, una concezione superiore del vivere umano, una vera democrazia partecipata, ma fino a quel giorno sarà vittorioso il sorriso beffardo delle maledette elites sulla grigia ignavia di milioni di esseri umani oppressi e prigionieri che non hanno la coscienza di esserlo.

Renato Valusso


Per Adriano e tutti gli altri...

Dice Crapone: " Se l'articolo 4 della Costituzione Italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, il fatto allora che spesso lo Stato non favorisca oggettivamente le condizioni per rendere effettivo questo diritto e non corrisponda al cittadino disoccupato alcun indennizzo, che cos'è? forse... un REATO?"

 R. V.

Enzo Di Frenna: difendiamo la libertà della Rete

Dal blog di Enzo Di Frenna sul sito de Il Fatto Quotidiano di sabato 28 maggio 2011: si preannuncia una nuova lotta per difendere e mantenere un diritto, in questo caso il diritto alla libertà di espressione.
 r. v.

50 mila blog chiusi per stampa clandestina?
All’inizio di maggio una sentenza della prima sezione penale della Corte di Appello di Catania ha equiparato un blog ai giornali di carta. Dunque commette il reato di stampa clandestina chiunque abbia un diario in Internet e non lo registra come testata giornalistica presso il tribunale competente, come prevede la legge sulla stampa n° 47 del 1948.

La vicenda è paradossale e accade in Italia. Lo storico e giornalista siciliano Carlo Ruta aveva un blog: si chiamava Accadeinsicilia e si occupava del delicato tema della corruzione politica e mafiosa. In seguito a una denuncia del procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera, quel blog è stato sequestrato e chiuso nel 2004 e Ruta ha subito una condanna in primo grado nel 2008. Ora la Corte di Appello di Catania, nel 2011, ritiene che quel blog andava considerato come un giornale qualsiasi – ad esempio La Repubblica, Il Corriere della Sera o Il Giornale – è dunque doveva essere registrato presso il “registro della stampa” indicando il nome del direttore responsabile e l’editore. La notizia farà discutere a lungo la blogosfera italiana: cosa succederà ora?

Massimo Mantellini se la prende con Giuseppe Giulietti e Vannino Chiti per aver presentato in Parlamento la Legge 62 sull’editoria, che è stata poi approvata, con la quale si definisce la natura di prodotto editoriale nell’epoca di Internet. Ma il vero problema, a mio avviso, è la completa o scarsa conoscenza di cosa sia la Rete da parte di grandi pezzi dello Stato, incluso la magistratura. Migliaia di burocrati gestiscono quintali di carta e non sanno quasi nulla di cosa accade in Internet e nei social network. Questa sentenza, quindi, è un regalo alla politica cialtrona che tenterà ora di far chiudere i blog scomodi. Proveranno a imbavagliarci.

In Italia ci sono oltre 50 mila blog. Soltanto BlogBabel ne monitorizza 31 mila. Nel mondo esistono almeno 30 milioni di blog e forse sono anche di più. I blog nascono come diari liberi on line, può aprirne uno chiunque. Una casalinga. Uno studente. Un professore universitario. Un operaio. Un filosofo. Chiunque. Ma adesso in Italia non è più possibile e possiamo dire che inizia il Medioevo Digitale. Nel mondo arabo i blog e i social network hanno acceso il vento della democrazia, il presidente americano Barack Obama plaude il valore di Internet e la libertà d’informazione, Wikileaks apre gli archivi segreti delle diplomazie, e noi, in Italia, in un polveroso palazzo di giustizia, celebriamo la morte dei blog.

Ma la vogliamo fare una rivoluzione? Vogliamo scendere in piazza come gli Indignados spagnoli e inventarci qualcosa che faccia notizia in tutto il mondo? Vogliamo innalzare una grande scritta davanti alla Corte Costituzionale con lo slogan “Io bloggo libero, non sono clandestino!”. Eggià: perché gli avvocati di Ruta faranno appello in Cassazione e a quei giudici bisognerà far sapere che in Italia ci sono 50 mila persone libere che hanno un blog e confidano nell’articolo 21 della Costituzione, che permette la libertà di espressione con qualunque mezzo.

Che ne dite? Ci proviamo?
 

Una domanda per i lettori del blog

              
                                     

Che cosa pensate di queste affermazioni di Paolo  Barnard?
   
 (r.v.)

SIEDONO DIVISI PER TRAFFICARE UNITI

Due esempi, non noti al grande pubblico, degli interessi che fin dagli anni '60 sono intercorsi fra l'allora P.C.I. e le potenti lobbyes finanziarie statunitensi e, in anni più recenti, fra il Partito Comunista Italiano e Silvio Berlusconi.
Con buona pace di chi votava e vota a...sinistra? e di chi vota il Grande Nemico dei Comunisti.
In realtà, quando Silvio Berlusconi attacca i comunisti intende quei gruppi di potere economico che si contrappongono al suo, vale a dire i falchi della finanza dentro al centrosinistra, nient'altro.
Assolutamente da conoscere e diffondere.



V. anche: I PADRINI DELL'ITALIA ROSSA

R. V.

venerdì 27 maggio 2011

LEGGIAMO UN PO'...



Un libro molto interessante: cliccate qui se volete scaricarlo in PDF

Istruzione universitaria nel futuro: torniamo indietro?

Sempre di più si ha l'impressione che l'istruzione universitaria stia diventando un privilegio per i giovani dei ceti sociali più abbienti.
Leggiamo questo post del 26 maggio 2011 pubblicato sul blog di Rete 29 Aprile sul sito de Il Fatto Quotidiano.
Il particolare che la maggior parte dei Senatori firmatari dell'interrogazione in oggetto non appartenga al centrodestra dà da pensare.
Ispirata al Rapporto Browne inglese, essa rappresenta un attacco all'istruzione universitaria quale diritto di tutti i cittadini.
Interessante da conoscere in merito all'argomento trattato è anche il contenuto di un intervento di Paolo Barnard, scritto al tempo dell'attuazione del sopraccitato progetto di Lord Browne: potete leggerlo qui .
Qua sotto, riporto integralmente il testo dell'articolo di Francesca Coin di Rete 29 Aprile.
 r. v.

Università: il peggio deve ancora venire
      

Si prova un senso di orrore nel leggere l’interrogazione ai ministri dell’Economia e dell’Istruzione presentata il 18 maggio 2011 dai Senatori Ichino, Ceccanti, D’Alia, Germontani, Leddi, Marino, Morando, Poli Bortone, Rossi, Rusconi, Rutelli, Tonini, Treu, Valditara. Ispirato al Rapporto Browne dell’Inghilterra, il testo appare come un tentativo nemmeno troppo pudico di pianificare l’indebitamento di massa di un’intera generazione in età pre-lavorativa al fine di esternalizzare su studenti e famiglie il finanziamento dell’università pubblica.
“L’interrogazione che abbiamo presentato si ispira essenzialmente a questa idea”
, recita il documento: “Il sistema universitario Italiano è al collasso finanziario per gli effetti combinati delle politiche sovente sconsiderate di assunzione da parte degli atenei […] e dei recenti tagli indiscriminati effettuati dal Governo” (premessa, peraltro, già tutta da dimostrare, visto che la politica di assunzione italiana è stata tanto sconsiderata da portare ad uno dei livelli più bassi nel numero di docenti per studente).

Dato tale collasso – al quale i proponenti sono certamente estranei – i suddetti propongono al Ministero di sperimentare in Italia il modello Browne, lo stesso che lo scorso autunno in Inghilterra ha scatenato un’insurrezione studentesca. Com’è noto, il Rapporto Browne, elaborato tra il 9 Novembre 2009 e il 12 ottobre 2010, alza a 9.000 sterline la retta universitaria annua per studente e propone agli studenti meno abbienti di pagarne i costi avvalendosi di mutui bancari con interessi al 2,2%.

Sino al 1 settembre 2004, era possibile per gli studenti inglesi inadempienti dichiarare bancarotta, e cancellare il debito: così prevedevano le linee guida dell’Insolvency Service secondo il quale i debiti studenteschi contratti per godere di un diritto potevano essere cancellati in caso di bancarotta. Quando i casi di bancarotta sono aumentati, passando da 276 nel 2002 sino a 899 nel 2004 come effetto della crisi occupazionale, l’allora ministro dell’istruzione Alan Johnson ha proposto e ottenuto che i debiti studenteschi rimanessero responsabilità del contraente. E’ così che da qualche anno l’esternalizzazione dei costi statali sugli studenti e le loro famiglie è sfociata in un indebitamento di massa.
Il debito studentesco in Inghilterra, Giappone, Stati Uniti e Canada è in costante crescita. In Giappone, scrive Norihito Nakata, la maggioranza degli studenti è costretta ad avvalersi di prestiti con interesse: minori sono i mezzi, infatti, e maggiore è il tasso di interesse che la banca impone ai giovani contraenti. Spesso, prima ancora di trovare un lavoro, molti studenti giapponesi hanno così accumulato un debito di circa 10 milioni di yen (circa 86 mila euro).

In riferimento a questa inevitabile deriva, i sopracitati senatori del Pd (da cui Meloni ieri si è dissociato) fanno al Governo alcune squisite proposte, ovvero chiedono letteralmente se il governo consentirebbe “la sperimentazione anche in Italia di una soluzione simile a quella adottata oltre Manica”. Nel tentativo di pianificare un modello di indebitamento programmato degli studenti, propongono così una visione interessante: poiché il rischio congiunto di indebitamento e disoccupazione porterà “gli studenti a scegliere le università migliori, ossia quelle la cui qualità consentirà di ripagare il costo dell’investimento effettuato”, la corsa all’investimento educativo come prerequisito per un lavoro redditizio stimolerà “una competizione tra gli atenei per migliorare la qualità della loro offerta formativa”.

Se da un lato questo consentirebbe il totale disimpegno statale nel finanziamento pubblico all’università riversandolo sulle tasse, dall’altro la necessità di scegliere le università migliori acuirebbe la competizione tra atenei virtuosi e atenei di secondo livello, e comporterebbe l’obbligo di massimo impegno per chi vi lavora: assegnisti, docenti, ricercatori precari e non. Anche gli studenti sarebbero chiamati alla responsabilità: non è detto, infatti, che tutti debbano studiare: “al fine di stimolare gli atenei alla migliore selezione degli studenti”, è bene introdurre “una disposizione che autorizzi lo Stato a rivalersi sugli atenei che facessero registrare una frazione troppo elevata di studenti inadempienti rispetto all’obbligo di restituzione del mutuo”.

In altre parole, gli studenti privi di mezzi, in quanto contraenti a rischio, dovranno essere selezionati con la massima cautela affinché il loro desiderio di formazione non vada a detrimento dello stato. Ecco che questo documento (della peggior specie nella sua candida deriva classista) è non solo illuminante nel suo intento di esternalizzare debiti antichi sui ventenni, ma è potenzialmente incostituzionale nel trasformare l’istruzione in un diritto selettivo: gli atenei, tant’è, non dovranno istruire tutti, ma solamente gli studenti meno esposti al rischio di insolvenza, pena una disposizione punitiva nei loro confronti. E non è finita qui.
Lo scorso 13 maggio, infatti, il governo ha approvato il decreto Sviluppo (DL 70) che prevede, all’art. 9, l’istituzione di una Fondazione che attribuisce al Ministero dell’Economia la gestione del Fondo per il Merito istituito dalla Legge Gelmini. La riduzione del fondo per le borse di studio di più del 90% non era sufficiente: il diritto allo studio viene ora governato dalle disponibilità contingenti di una Fondazione a vigilanza stretta del Ministero dell’Economia, con il pregio oramai noto di introdurre spazi d’autonomia nella gestione del denaro pubblico.

Un recente articolo di Malcolm Harris osserva scrupolosamente le conseguenze di tali meccanismi negli Stati Uniti. Ora che i prestiti agli studenti hanno superato le carte di credito come maggiore fonte di debito del paese, più del 30% dei debiti sono convertiti in titoli negoziabili garantiti dal Governo Federale chiamati Slabs. E “poiché gli studenti non possono dichiarare bancarotta, i creditori possono reclamare stipendi, contributi previdenziali e perfino indennità di disoccupazione. Se uno studente non paga, l’agenzia di garanzia, anche se è stata rimborsata dal Governo Federale […] è incoraggiata a perseguitare gli ex studenti fino alla tomba”. Insomma, stando alle proposte dei senatori, per meritarsi un’istruzione gli studenti dovranno ipotecarsi la vita. Torna in mente quello che è avvenuto in Inghilterra in autunno. E una domanda: cui prodest?

giovedì 26 maggio 2011

Cittadini senza Stato: o ci uniamo per agire o per noi non ci sarà futuro

Continua, purtroppo, la vicenda di disoccupazione del signor Adriano Plozzer di Udine, di cui abbiamo già riferito sul blog, in altre occasioni (vedi qui, qui e qui). Storie come questa devono aprire gli occhi una volta per tutte ai tanti che ancora credono che il Friuli sia un'isola felice e che i problemi legati alla crisi economica e di valori morali della nostra società, dopo aver magari solo sfiorato le nostre zone, tra breve saranno scomparsi.
Aumenteranno, invece, e se noi, sì, proprio noi, comuni cittadini nulla faremo per affrontarli nessuno lo farà per noi e situazioni come quella che sta vivendo Adriano e molti altri che però scelgono di restare invisibili dilagheranno.
Ancora una volta invito chiunque si trovi in una condizione di disoccupazione o di precarietà lavorativa a scriverci all'e-mail perilfuturo@libero.it: assieme si trovano delle soluzioni più facilmente che da soli.
r. v.

Le danze di Adriano
Udine, 2011: l'odissea di un disoccupato

di Adriano Plozzer

Chi scrive è un udinese over 50, da parecchio tempo disoccupato.
Sono sempre più amareggiato perchè nonostante numerosi appelli, lettere, annunci inviati attraverso i quotidiani locali, il risultato è stato lo zero assoluto.
Per questa nostra cosi bella, civile e solidale (a parole) società e per chi di dovere risulto un uomo a perdere: a 54 anni suonati, chi mai dovrebbe preoccuparsi di darmi una risposta concreta e risolutiva a questo drammatico problema? chiunque può constatarlo di persona, i lavoratori sono divisi in 2 gruppi ben distinti ovvero di gruppo a e di gruppo b: i primi sono in qualche maniera tutelati, aiutati, mentre i secondi vergognosamete, volutamente dimenticati, abbandonati a se stessi o peggio scaricati sulle spalle delle famiglie o chi per loro. 
Risultato attuale: non ho piu un presente, tantomeno un futuro, sarò costretto a vendere il mio appartamento, frutto di tanti sacrifici familiari, non riesco piu a far fronte ai vari pagamenti che si presentano, sto perdendo tutto, ma proprio tutto, amicizie, affetti e soprattutto la mia dignità in quanto persona.
E' palesemente inaccettabile che io non possa usufruire di nessun tipo di ammortizzatore sociale, nè aderire ai progetti della regione (lsu lpu), nemmeno una minima indennità di disoccupazione inps...niente di niente. Un' ingiustizia evidente, accettata supinamente , senza battere ciglio, dalle forze istituzionali.
Sono schifato, non ho piu voglia di reagire se non con tanta rabbia, combattendo una guerra che sembra persa in partenza contro un sistema di burocrazia senza cuore e anima, contro sistemi corrotti, forze politiche assenti (a meno che non ci siano grossi guadagni) e, ahimè, forze sindacali colpevolmente assenti, incapaci di dare delle risposte concrete, non certo semplici, delle piccole soluzioni, rimedi, a un esercito di "invisibili"che diventa ogni giorno più grande.
Non vorrei tediarvi, vista la chilometrica lunghezza della presente, ma desidero raccontarvi la mia odissea da borderline ....via allora con le danze!!! entro nello specifico parlando delle cooperative sociali di tipo "b" che nelle loro finalità e scopi avrebbero il preciso compito di assumere soggetti svantaggiati, pure a rischio, per varie problematiche: ebbene sono rimasto sconcertato, amareggiato per il trattamento subito. Risultavo privilegiato rispetto ad altri casi, tutta colpa della crisi! ancora va avanti questo ritornello. Si fossero poi mai degnati di rispondere alle mie mail, fax , richieste di lavoro. Visto che per loro non sono ancora arrivato in fondo comincerò a delinquere, a drogarmi, a bere (con tutto il rispetto per chi vive queste malattie) solo cosi forse prenderanno in considerazione la mia domanda di aiuto.
Altro tasto dolente è il Centro per l'Impiego di Udine (a parte qualche persona): ma è mai possibile che le persone vengano trattate alla stregua di tanti pezzi di carta, numeri anonimi e, a parte rari casi, con totale mancanza di sensibilità, di tatto, e rivelando inoltre una mancanza di coordinazione tra loro e le aziende o imprese?
Mi sono più volte chiesto se sono io che sbaglio a rivolgermi all'Ufficio di Collocamento, farei prima a chiedere al primo che passa per strada, probabilmente un' occupazione l'avrei gia trovata! il vaso è colmo, colmo di tristezza e di impotenza totale.
Quanto alle agenzie interinali, peggio per peggio, mi domando dove sia la tanto ventilata trasparenza, con l'azienda interessata e la selezione dell'offerta.
Continuo poi con vari istituti scolastici religiosi presenti in città, nella speranza rilevatasi vana di rimediare uno straccio di lavoro. Per fortuna parli con uomini di fede, che quindi dovrebbero con i fatti dimostrarsi solidali, altruisti, buoni samaritani: col cavolo, un muro di gomma totale! ho dovuto pregarli di starmi ad ascoltare: sempre meno preti e sempre più burocrati.
Mi sono rivolto poi ai servizi sociali del Comune di Udine, della7° circoscrizione: anche qui totale noncuranza, nessuna cortesia o un minimo di umanità nei miei confronti, come fossi uno scocciatore, risposte della serie "veda di arrangiarsi di suo"o, cosa più grave, inviti a delegare alla famiglia il gravoso compito di "mantenermi". Io ho perso entrambi i genitori e mia sorella fa quel che può, visto che come tutti ha già problemi di suo con il lavoro,ecc., comunque per poter usufruire di un irrisorio sostegno economico dovrò presentarmi con tanti di quei documenti da far invidia a un intero ufficio!
Il mio indice accusatore punta anche dritto alle moltissime imprese o aziende alle quali mi sono rivolto e dalle quali non ho mai ricevuto un rigo di risposta.
Anche per lavori occasionali pagati con i voucher, non si riesce a trovare niente a causa di un machiavellico inghippo all'italiana: un potenziale datore di lavoro non mi ha potuto assumere perchè avrei dovuto avere una qualsiasi forma di reddito (mobilità retribuita) o un indennizzo inps che non posso percepire sempre per un' altra assurdità burocratica, oltre il danno anche la beffa.
Tutti i politici in Regione e Provincia a sbandierare progetti su progetti, mirati a trovare soluzoni lavorative ai soggetti più penalizzati : mi devo ritenere fortunato allora, non rientro nelle loro liste!
Sono stanco di subire continue umiliazioni, mancanza di rispetto, e di noncuranza, sono stanco di dover rinunciare a vivere dignitosamente: che futuro si prospetta a me e a tutti coloro che si trovano nella mia situazione? non arrivano segnali di attenzione , di aiuto concreto, la classe politica vergognosamente assente e menefreghistala colpa alla crisi globale e lascia che la barca affondi.
Smettano almeno di raccontare balle! sono arrivato a un punto di non ritorno, ultimamente sto ricorrendo alla mia parrocchia, ma il massimo che possono fare è darmi delle derrate alimentari, il pranzo o la cena assicurati grazie ai Frati Cappuccini.
Non posso chiudere se non scusandomi per la lunghezza di questo sfogo. Ringrazio tanto il signor Renato Valusso, che mi sta aiutando, e le signore Zaccaria e Papa del C.p.I di Tarcento , molto disponibili e soprattutto umane. Grazie di cuore.
Adriano, tel. 3492903380.

Quando la democrazia non serve ai popoli

Una nuova, l'ennesima, dimostrazione che in Italia ma anche in Europa e nel resto del mondo civilizzato, l'attuale democrazia rappresentativa non vale più a esprimere il pensiero e la volontà della maggior parte del popolo.
Strumento di gestione del potere ormai obsoleto e inefficiente, in Italia particolarmente legato ad un'assurda partitocrazia, asservito agli interessi delle lobby finanziarie, incapace di generare delle risposte valide in merito alle questioni più importanti che riguardano la vita dei popoli, esso ha ormai fatto il suo tempo e pertanto va cambiato.
Al posto della democrazia rappresentativa, i popoli dovranno indirizzarsi verso la democrazia partecipata, al posto delle attuali Caste di potere politico e giudiziario si dovrà realizzare il libero governo di tutti i cittadini, andranno di conseguenza aboliti tutti i privilegi che oggi sono appannaggio di coloro che gestiscono la cosa pubblica e ci si dovrà dirigere verso un nuovo sistema di valori che conferisca centralità al cittadino e dia una vera sovranità ai popoli.
Il fatto che l'articolo sotto riportato si riferisca a una decisione attuata dal governo Berlusconi è in questo caso un particolare senza importanza: non sarà cambiando l'esecutivo che si otterrà la vera democrazia dei cittadini, ma solo cambiando l'intero sistema.
r. v.

Dal sito de Il Fatto Quotidiano del 24 maggio 2011:


Nucleare, il governo affossa il referendum
Con 313 sì la Camera vota la fiducia     

Con il voto di fiducia al decreto Omnibus oggi la Camera approverà la moratoria sulla costruzioni di impianti in Italia. Tentando di rendere inutile il voto del 12 e 13 giugno prossimo quando i cittadini saranno chiamati a decidere anche sull'abrogazione del legittimo impedimento. Per l'Idv però il passaggio odierno in aula è inutile: "Poi toccherà alla Cassazione"
La Camera affossa il referendum sul nucleare. Con 313 sì e 291 no l’aula ha votato la fiducia, come chiesto dal governo, al cosiddetto “decreto Omnibus” nel quale è inserito anche l’emendamento che abroga le norme che aprivano la strada alla costruzione in Italia di nuovi impianti nucleari. La “responsabile pausa di riflessione” che il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, aveva annunciato agli inizi di marzo, a seguito della tragedia di Fukushima, ha dunque partorito la decisione di togliere ai cittadini la possibilità di esprimersi il 12 e 13 giugno su eventuali centrali da realizzare nel Paese. Il timore maggiore per la maggioranza era il raggiungimento del quorum, considerato che contestualmente al referendum sul nucleare si vota anche quello sull’abrogazione del legittimo impedimento. Silvio Berlusconi, del resto, lo aveva detto: l’effetto Giappone potrebbe riempire le urne. La volontà della maggioranza non è rinunciare alla partita nucleare ma piuttosto rimandare la questione. E se si priva di interesse la tornata referendaria è meglio. Toccherà però alla Cassazione decidere.
Fuori da Montecitorio da ieri prosegue il presidio di protesta dei comitati per il sì al referendum per acqua e nucleare, contro il decreto Omnibus. Al presidio stamani ha partecipato anche Satoko Watanabe, leader dei Verdi giapponesi. ”Non andate a votare solo per voi, ma fatelo anche per i vostri figli, e i figli dei vostri figli: votate sì”, ha detto. “Il referendum – afferma Watanabe – è una grande opportunità che non può essere sprecata. Un momento molto importante per gli italiani che hanno la possibilità di scegliere: noi giapponesi non l’abbiamo avuta”. La leader ambientalista nipponica ricorda la scelta fatta dal popolo italiano con il referendum di quasi 25 anni fa, e se ne dice “molto orgogliosa”. Bolla come “bugie” le garanzie fatte dalle aziende elettriche sul nucleare e vede nelle rinnovabili “fatte con il sole, il vento e il mare, il futuro per l’uomo”. Ad accompagnarla, il presidente dei Verdi Angelo Bonelli che ha puntato il dito sulla fiducia posta dal governo al dl Omnibus: “Il governo sta sospendendo le libertà democratiche, una cosa che non è mai accaduta nella storia della repubblica e che si vede solo nei regimi”. Serve – conclude Bonelli – “una grande mobilitazione democratica di tutti gli italiani affinché la nostra società non sia sottoposta al rischio e alla follia del nucleare."
Stamani il presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, ha salutato con un cenno del viso e alzando una mano i manifestanti presenti. Napolitano prima di salire in auto, dopo essere stato alla commemorazione di Alessandro Natta, l’ex segretario del Pci, ha salutato chi si trovava in piazza Montecitorio al di là delle transenne e gli chiedeva a squarciagola di “non firmare quella legge”, riferendosi al decreto Omnibus. Al Capo dello Stato si è appellato Antonio Di Pietro, affinché “non firmi una legge così truffaldina”.

“Uno scippo fatto al popolo italiano di poter decidere sul nucleare con il referendum”, sintetizza Pier Luigi Bersani. Secondo il leader democratico, i contenuti del decreto Omnibus sono “irrilevanti per le questioni economico-sociali che si affacciano”, nel provvedimento “spicca lo scippo fatto al popolo italiano di poter decidere nel referendum sul nucleare”. Mentre secondo l’Italia dei Valori il tentativo della maggioranza non andrà a buon fine. “Affrontiamo il voto di fiducia di oggi con lo spirito di chi subisce uno scippo”, ha dichiarato il portavoce Leoluca Orlando alla Camera, “lo scippo sta diventando un vizio, ma è inutile” perché non modifica la sostanza. “La maggioranza chiede con il decreto di rinviare il nucleare mentre il referendum ne vuole l’eliminazione”, ha ricordato, e “la Cassazione non potrà che prenderne atto”.



lunedì 23 maggio 2011

Premio Hemingway e perplessità

Il 21 maggio scorso, a Lignano Sabbiadoro, Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, ha ricevuto il premio Hemingway per il Giornalismo della carta stampata.
La decisione della giuria ha suscitato più di qualche polemica: sinceramente, credo non ci sia alcun bisogno di essere di sinistra per restare perplessi di fronte a questa scelta, che pone il direttore de Il Giornale sullo stesso piano di Indro Montanelli, Enzo Biagi, Oriana Fallaci, Sergio Zavoli, Natalia Ginzburg e di altri illustri nomi del giornalismo e della letteratura italiani che furono a loro tempo insigniti del medesimo riconoscimento.
Se un "buon giornalismo" dovrebbe essere scevro da eccessiva faziosità e dal ricorrere a inqualificabili sistemi di aggressione mass-mediatica (vedasi "metodo Boffo") non si capisce allora che cosa abbiano premiato due giorni fa a Lignano.
  r. v.

Chi mangia sulla fame

In questo articolo di Gian Luca Mazzella, pubblicato sul suo blog sul sito del Fatto Quotidiano del 22 maggio 2011, troviamo alcune interessanti quanto mortificanti spiegazioni sui problemi dello spreco alimentare e della fame nel mondo.
Certamente, alla base dello spreco ci sono degli altri fattori, oltre a quelli indicati qui, tuttavia da parte di coloro che sovraintendono ad organizzazioni importanti come la FAO ci si dovrebbe aspettare che, una volta chiarite determinate responsabilità, si intervenga tempestivamente per correggere le storture venute in luce.
Staremo a vedere...
  r. v.


   L’assurdo spreco del cibo

Una decina di giorni fa la FAO ha reso disponibile uno studio sulle perdite e sullo spreco di cibo, commissionato all’Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK).

È stimato che circa 1/3 del cibo prodotto per consumo umano sia sprecato dai rivenditori e compratori, o vada perduto lungo i processi produttivi: circa 1,3 miliardi di tonnellate.

670 milioni di tonnellate nei paesi industrializzati, soprattutto per spreco dei rivenditori e consumatori.

630 milioni di tonnellate nei paesi in via di sviluppo, soprattutto per perdite dopo il raccolto e nella lavorazione.

Comparando gli sprechi: annualmente i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo dell’intera produzione alimentare netta dell’Africa sub-sahariana.

Frutta e verdura, radici e tuberi sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente.

La produzione alimentare totale pro capite è circa di 900 kg all’anno nei paesi ricchi e 460 kg all’anno nei paesi più poveri. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95-115 kg all’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l’anno.
Quanto alle perdite, il rapporto osserva che esse divengono perdite di reddito per i piccoli contadini. Quindi prezzi più alti per i consumatori poveri. “La riduzione delle perdite potrebbe dunque avere un effetto immediato e significativo sulle loro condizioni di vita e sulla sicurezza alimentare dei paesi più poveri”.

In Italia, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone. Circa il 3% del Prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura.

Il Rapporto Fao esamina alcune delle cause, e propone cambiamenti quale “vendere i prodotti della terra direttamente senza dover conformarsi alle norme qualitative dei supermercati… tramite negozi e mercati gestiti dai produttori.” Cambiamenti anche dell’atteggiamento di chi compra: “I consumatori dei paesi ricchi sono in genere incoraggiati a comprare più cibo di quello di cui hanno in realtà bisogno. Ne è un esempio il classico compra tre e paghi due proposto in molte promozioni, come pure le porzioni eccessive dei pasti pronti prodotti dall’industria alimentare. Ci sono poi i buffet a prezzo fisso offerti da molti ristoranti che spingono il consumatore a riempire il proprio piatto oltre misura”.

A conclusione e commento, riporto quanto scritto sulla rivista Cosmopolis da Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna: “la FAO stima che la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire abbondantemente 12 miliardi di esseri umani, cioè il doppio di quelli attualmente presenti sul pianeta… Com’è possibile, allora, che nonostante summit, dichiarazioni e obiettivi sbandierati il numero di affamati non diminuisca, anzi aumenti?… Uno studioso inglese, Tristram Stuart che, rielaborando i bilanci alimentari della FAO, ha calcolato un livello di “surplus superfluo” che sarebbe 22 volte superiore a quello necessario per alleviare la fame delle popolazioni malnutrite del pianeta o basterebbe per alimentare 3 miliardi di individui… La metà delle dotazioni delle agenzie internazionali specializzate in campo agroalimentare – FAO, PAM e IFAD ad esempio – serve per mantenere se stesse, cioè le loro strutture pesanti e appunto costose. Tra stipendi, benefit, trasporti e spese generali si bruciano miliardi di dollari: uno scandalo che, finiti i controvertici mediatici di protesta da parte delle Organizzazioni non governative, passa ben presto nel dimenticatoio. Tirando le somme e moltiplicandole per enne (il numero delle agenzie delle Nazioni Unite) si capisce poi chi mangia sulla fame”.
Segnalo l’iniziativa Last Minute Market di Segrè; oltre al libro che ha scritto assieme a Luca Falasconi: “Il Libro Nero dello spreco in Italia: il cibo”, Edizioni Ambiente.

Altri suggerimenti su http://www.nonsprecare.it/
 

sabato 21 maggio 2011

Hai più di 40 anni e sei disoccupato? guarda questo video e fallo girare in Rete

Troppo vecchi per lavorare, troppo giovani per la pensione. In rete mandano un messaggio di denuncia al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: “Vogliamo dirle che noi, onorevole, noi espulsi dal lavoro , da questa crisi non siamo ancora usciti”. Cinque storie in quattro minuti di "disoccupati maturi".


A promuovere l'iniziativa è l'associazione Atdal, per la tutela dei diritti dei lavoratori over 40.
I “disoccupati maturi” sono tanti: secondo l’Istata 512 mila tra i 35 e i 44 anni, 327 mila tra i 45 e 54 anni, altri 100 mila tra i 54 e i 65.
E tutto lascia pensare che sia un fenomeno destinato ad aumentare.
  r. v.

Il saggio Sgorlon e la visione classista del vivere

Oggi affronto un tema che esula da quelli che di solito vengono trattati su questo blog: desidero infatti commentare brevemente qui il famoso romanzo "Il vento nel vigneto" del compianto Autore friulano Carlo Sgorlon.
Premetto che non è mia intenzione addentrarmi in una critica letteraria del libro nè dell'opera omnia di Sgorlon, non posseggo i mezzi culturali per farlo e non è questa la sede: la mia vuole essere semplicemente l'opinione di un comune lettore, friulano doc, come si usa dire, così come era un friulano doc il Maestro di Cassacco.
Questo libro lo lessi per la prima volta all'età di dodici anni ed era il testo di narrativa adottato dalla Scuola Media Inferiore della Provincia di Udine e ho avuto modo di rileggerlo di recente: ebbene, a distanza di tanti anni, l'impressione finale odierna è rimasta pressochè identica a quella di allora.
Bel romanzo, ben scritto, ricco di insegnamenti morali ma la sua conclusione non mi soddisfò a quel tempo e non mi trova concorde neanche oggi.
In breve, dopo tanto lottare per tornare ad inserirsi nella società che trent'anni prima lo aveva condannato all'ergastolo per un delitto d'impeto, bestiale ma non del tutto gratuito, il protagonista del romanzo, Eliseo Bastianutti, si vede costretto a rinunciare al suo desiderio più grande, quello di rifarsi una vita sposandosi con una vedova madre di un ragazzo appena adolescente, perchè, in sostanza, il nuovo matrimonio, oltre a poter essere presumibilmente molto chiacchierato e malvisto, toglierebbe alla donna la possibilità di continuare a percepire la pensione di reversibilità del defunto marito e questo, nel caso in cui Eliseo dovesse mancare o non potere più lavorare, così come nel caso dovessero avere dei figli, diventerebbe una sciagura per il futuro del figlio avuto dal primo matrimonio.
Di più, anche solo l'idea di potersi amare come uomo e donna senza andare prima in chiesa a chiedere la benedizione di Nostro Signore, non viene neppure adombrata nel romanzo: non dimentichiamo che siamo in un paese del Friuli della fine degli anni '50 e che i protagonisti sono un uomo e una donna maturi. Tuttavia, a ben vedere, questa possibilità l'Autore, sia pure alla lontana, la lascia intravedere, ma come un qualcosa da non dire, da non mostrare pubblicamente, da vivere piuttosto nell'ombra.
Ecco perchè, in sintesi, la conclusione della storia che vede Eliseo accontentarsi del suo lavoro e delle piccole gioie quotidiane, legate ai ritmi arcaici della civiltà contadina idealizzata dalla narrativa di Sgorlon, il bicchiere di vino in compagnia, il vigneto da curare dove, finchè Eliseo sarà vivo e chissà per quanto tempo dopo, si potrà ascoltare la voce del vento che fa stormire le foglie, non mi soddisfa.
Sembra quasi, e probabilmente è così, che nell'immaginario e nella scala di valori dell'Autore debbano esistere vite umane di serie A e di serie B, vale a dire chi può vivere liberamente e alla luce del sole le proprie emozioni e le proprie passioni e chi invece non lo può fare o lo può fare solo restando nell'ombra. Dopo magari, come nel caso del protagonista de "Il vento nel vigneto", avere già duramente scontato i propri errori e dopo una spietata esclusione sociale anche per quanto riguarda i diritti più elementari, come quello a poter lavorare.
Anche leggendo altre opere di Carlo Sgorlon, emerge questa visione fatalista e quasi, oserei dire, "classista" del vivere umano.
Carlo Sgorlon: narratore di vicende di popoli, di villaggi, di boschi, di tramonti, di vento... ma forse non sempre aedo di libertà.

  Renato Valusso

Lavoro oggi: continuare così o cercare delle soluzioni?


Lo scritto che pubblichiamo è di un quarantenne friulano, che, dopo diversi anni di lavoro presso un' azienda della grande distribuzione, si è trovato ad essere disoccupato e a dover affrontare una realtà ben diversa da quella che ricordava, quando, molto più giovane, era alla ricerca di una seria opportunità per il futuro: un limite, quello dell'età, che oggi pesa molto più che in passato per chi cerca lavoro, porte chiuse da tutte le parti, una miriade di offerte delle tante agenzie interinali che poi si rivelano, nove volte su dieci, soltanto degli specchietti per le allodole. Uno, dieci, cento e più colloqui e poi chi s'è visto s'è visto.
Alla fine, per tirare avanti, non resta che accettare delle possibilità che sono quelle che sono e che difficilmente consentono ai lavoratori di garantire a se stessi e alle loro famiglie un'esistenza dignitosa.
Ma fino a quando potremo continuare così?
Per questo, invitiamo chiunque si trovi in situazioni di mancanza di lavoro e di precarietà a scriverci all'e-mail perilfuturo@libero.it : incontriamoci, conosciamoci e assieme, noi persone qualsiasi, che non abbiamo alcun interesse di parte da rappresentare, che non difendiamo nient'altro che i nostri diritti, come quello al lavoro, sancito peraltro dalla Costituzione Italiana, potremo cominciare a fare qualcosa per farci sentire e per combattere un sistema che sta portando alla rovina milioni di lavoratori e le loro famiglie.

Lo staff di quiudinelibera


 La settimana scorsa mi hanno chiamato quelli di (...) in seguito ad un colloquio: trovandomi alla frutta, ho accettato la loro proposta.
Le condizioni sono: mezzo aziendale (così almeno hanno promesso), rimborso spese di 800 E. mensili, che in realtà non serve come rimborso ma come stipendio, premio di 50 E. al raggiungimento di 3 contratti giornalieri da chiudersi in 2 persone.
Nessuna assicurazione, nessun contributo inps, tfr, malattia, 13 e 14 esima, niente.  
Il lavoro consiste nel promuovere l'attività in un gazebo sistemato nelle piazze dei diversi comuni friulani, all'aria aperta, al caldo e al freddo, al sole e al gelo....e dulcis in fundo, nel consegnare porta a porta una lettera che informa che il giorno dopo passeremo a far visita nelle case.
Ieri ho svolto questa bellissima e qualificante attività di consegna di materiale promozionale e oggi ho suonato i campanelli delle case...
A parte i diversi cani che hanno cercato di azzannarmi, mi sono beccato una ventina di vaffa..., una 30 di a sin a puest (siamo già a posto n.d.r.) e tante frasi simpatiche e piacevoli... c' è da dire però che ho incontrato anche alcune persone cortesi.
Certo che non avrei mai immaginato di svolgere un lavoro così "gratificante".
p.s.: cercano disperatamente altre persone per svolgere questo lavoro; ormai per sbarcare il lunario non resta che svolgere i lavori che le altre persone non accettano.
E questo, dopo molti mesi di vane ricerche da parte mia, penso sia uno dei pochi rimasti.


   Lettera firmata

venerdì 20 maggio 2011

Sei un lavoratore precario? guarda il video e condividilo

Lottiamo assieme con determinazione per la difesa dei diritti di tutti.


Non permettiamo allo Stato di truffarci sempre di più.

Lavoratori precari: la grave ingiustizia del sistema previdenziale italiano

Dal blog di Mario Staderini sul sito del Fatto Quotidiano del 19 maggio 2011. Da leggere e far girare in Rete.

 I contributi silenti rubati ai precari

L’Italia è un Robin Hood al contrario: toglie ai poveri per dare ai ricchi. Milioni di persone, infatti, pagano contributi previdenziali senza raggiungere il minimo per la pensione. E li perderanno.

Sono precari, parasubordinati, liberi professionisti non iscritti a un Ordine professionale, donne che hanno lasciato il lavoro. Gran parte dei loro contributi previdenziali vengono versati all’Inps a fondo perduto: se non si raggiunge il minimo richiesto dalla legge per maturare la pensione (il che accade sempre più spesso, dati i lunghi periodi di disoccupazione o lavoro nero), quei contributi saranno usati per pagare le pensioni di altri, ma non danno diritto ad averne una propria. E anche quando si matura il minimo di contribuzione richiesto, la pensione ottenuta non supera i 400/500 euro dell’assegno sociale.

Siamo davanti ad un vero e proprio furto, grazie al quale si fanno pagare ad alcuni i costi delle pensioni – comprese quelle d’oro – di altre generazioni. Infatti la Gestione separata dell’Inps, dove finiscono i versamenti, ogni anno incassa 8 miliardi di euro di contributi, ma eroga solo 300 milioni di euro di prestazioni!
I più danneggiati? Giovani e precari, per i quali sarà difficile raggiungere 35 anni di contributi, ma anche tantissime donne di tutte le età che hanno potuto lavorare a intermittenza. Il problema non è solo dei ventenni: l’età media dei circa di 2 milioni di iscritti alla gestione separata dell’Inps è infatti di 41 anni per gli uomini e 36 per le donne. E dire che queste categorie pagano un’aliquota molto alta, quasi il 27% della retribuzione. Non è un caso che gli esperti li chiamino “contributi silenti”, perché non hanno diritto nemmeno alla parola.

Un’emergenza sociale che si cerca in ogni modo di nascondere, tanto che il Commissario straordinario dell’Inps Antonio Mastrapasqua affermò pochi mesi fa che “se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati e ai precari rischieremmo un sommovimento sociale“. E infatti chi è iscritto alla gestione separata dell’Inps non ha accesso alla simulazione della sua pensione futura come avviene con gli altri lavoratori subordinati. Una vera bomba pronta ad esplodere e che si preferisce tenere sotto terra.

Avete mai ascoltato un dibattito televisivo su come affrontare questa situazione drammatica?

Aspettando una riforma complessiva ed equa del sistema pensionistico, la soluzione non può che essere di giustizia: riconoscere ai lavoratori il diritto alla restituzione dei contributi “silenti”, ovvero dei contributi previdenziali versati che non abbiano dato luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico. Una proposta a cui ha lavorato da tempo Michele De Lucia, tesoriere di Radicali Italiani, e che è depositata in Parlamento con una proposta di legge a prima firma Maurizio Turco.

Domani 20 maggio si terrà la “Prima giornata nazionale dei silenti”, con manifestazioni davanti alle Direzioni provinciali dell’Inps. Come Radicali Italiani e Ancot (Associazione nazionale consulenti tributari) abbiamo già organizzato presidi in 50 città italiane: se vuoi fare tua questa iniziativa, partecipando alle manifestazioni e firmando l’appello, trovi qui tutte le informazioni.

È il primo passo di una mobilitazione che deve crescere, mi auguro insieme ai ragazzi e alle ragazze che hanno organizzato le manifestazioni del 9 aprile. Tra gli obiettivi, rompere il muro di silenzio, ad esempio comprando una pagina di un quotidiano nazionale per fare lì quelle domande a cui Mastrapasqua e il ministro Sacconi non vogliono rispondere. Ci lavoriamo insieme?

giovedì 19 maggio 2011

Precarietà e disoccupazione in Friuli: alcune proposte di quiudinelibera

Cari Amici, ci sembra venuto il momento, a noi di quiudinelibera, di rendere noto il prospetto riassuntivo di alcune delle proposte che intendiamo presentare agli Enti pubblici preposti, Comune, Provincia, Regione, ecc. ed alle parti sociali, in merito a una auspicabile revisione delle attuali politiche di tutela occupazionale e di sviluppo sul territorio.
Ecco quindi un primo abbozzo di quanto sopra, in attesa di confrontarci ulteriormente con Voi per ricevere utili suggerimenti e critiche allo scopo di completare, arricchire e migliorare il quadro propositivo.
Vi invitiamo a scriverci e a comunicarci le Vostre idee e, sarebbe augurabile, la Vostra eventuale partecipazione alla nostra iniziativa: attendiamo le Vostre mail alla casella di posta elettronica perilfuturo@libero.it . Naturalmente, il contenuto dei Vostri messaggi non verrà visualizzato sul blog, a meno che non siate Voi stessi a farne esplicita richiesta. Tutti i dati personali verranno trattati nel rispetto rigoroso della legge sulla privacy.
Ripetiamo una volta di più che l'iniziativa in questione non è mirata in alcun modo a trarre dei vantaggi di carattere economico nè a favorire interessi di parte.
Ciò che preme a noi di quiudinelibera è la difesa dei diritti dei cittadini, in particolar modo i diritti più importanti, come quello al lavoro e alla dignità di tutti, soprattutto dei cittadini cosiddetti "qualsiasi", di coloro cioè che non hanno alle spalle nè partiti politici nè gruppi di interesse vari e neppure dei "santi" o dei "padrini" che li tutelino.
Di seguito, il testo in abbozzo di alcune proposte di quiudinelibera.

  QUIUDINELIBERA  (proposte per contrastare la disoccupazione e la precarietà in Friuli Venezia Giulia)

 1) Chiediamo che venga presa in considerazione la proposta di formulare una legge che preveda delle congrue agevolazioni per l'inserimento lavorativo delle persone che hanno superato il 45° anno di età, quelle stesse persone che al momento attuale si ritrovano, nel caso di perdita del lavoro, ad essere esposte al rischio di disoccupazione cronica, con tutte le gravi conseguenze che questo comporta.

2) Chiediamo che vengano poste le condizioni per far sì che anche i soci lavoratori di cooperativa possano fruire di una indennità di disoccupazione analoga a quella prevista per gli ex dipendenti dell'impresa privata.

3) Chiediamo che gli Enti pubblici preposti ma anche i Comuni, la Regione, ecc. si attivino, anche coinvolgendo le aziende presenti sul territorio, al fine di realizzare un bacino occupazionale da riservare segnatamente e con tempestività alle situazioni di maggior bisogno esistenti sul territorio.

4) Chiediamo che al cittadino disoccupato il Centro per l'Impiego competente provveda a consegnare un foglio informativo (sottolineiamo: un foglio, non un volume magari zeppo di consigli pressochè inutili e oneroso per le casse pubbliche) riportante tutti i diritti spettanti alla persona in stato di disoccupazione (agevolazioni per l'impresa nel caso di assunzione, esenzione dal ticket sanitario, ecc.) e che tali dati siano tenuti in costante aggiornamento, onde evitare quello che succede attualmente, ossia che queste importanti informazioni spesso il disoccupato deve cercarsele da solo, magari vagando da un ufficio pubblico all'altro ( dal C.P.I. alla Provincia, all'Azienda Ospedaliera,ecc.) e incontrando altrettanto spesso difficoltà ad ottenerle a causa della disomogeneità di conoscenza della materia da parte degli stessi operatori.

Gli ammortizzatori sociali attualmente esistenti sono in larga misura inadeguati (es.: borse di lavoro da 250 euro al mese), non sono estesi a tutti i disoccupati bisognosi (p.es. facilmente si viene esclusi per un qualche cavillo burocratico dai lavori socialmente utili) e sono quasi sempre misure che peccano di scarsa tempestività : per l'attuazione di interventi di sostegno economico a favore di persone e di famiglie penalizzate da mancanza o scarsità di lavoro ci si può trovare a dover attendere anche mesi, con le implicazioni facilmente immaginabili del caso.

 Lo staff di quiudinelibera

Chi governa la nostra vita

Dal blog di Fabio Marcelli sul sito del Fatto Quotidiano - 17 maggio 2011

Strauss-Kahn e l’arroganza del potere

Bisogna essere garantisti anche con i peggiori nemici e pertanto c’è da augurarsi che le infamanti accuse contro Dominique Strauss Kahn si rivelino infondate. Purtroppo per lui, però, sembra che così non sia e del resto il supermanager già in altre occasioni aveva rivelato una certa predisposizione a servirsi del corpo delle donne a prescindere dal consenso della malcapitata verso la quale egli dirigeva le sue “attenzioni”. Non mancano d’altronde tesi complottiste che denunciano macchinazioni ai danni del futuro candidato presidenziale. Ad ogni modo spetta alla magistratura statunitense appurare quanto effettivamente è accaduto in quella stanza dell’Hotel Sofitel di Times Square.

La penosa e poco edificante vicenda offre tuttavia il destro a qualche riflessione. Potrebbe risultare in effetti non del tutto inopportuno un parallelismo fra l’apparente propensione allo stupro del direttore del Fondo monetario internazionale e il contenuto delle politiche applicate da quest’ultima istituzione. La quale è tristemente famosa da tempo nei Paesi economicamente meno sviluppati e da ultimo anche in Europa, ad esempio in Grecia, per i contenuti antipopolari delle scelte che impone agli Stati, obbligati, per accedere ai crediti, a tagliare le spese sociali, limitare le normative ambientali, dare luce verde agli investimenti esteri, demolire scuola e sanità, privatizzare i beni pubblici, ecc.

Già il 26 maggio 2002, del resto, il Tribunale dei diritti dei popoli aveva reso una documentata e approfondita decisione in merito al debito estero, nella quale imputava al Fondo, come pure alla Banca mondiale e alle altre istituzioni finanziarie internazionali, la commissione di una serie di crimini, tra i quali la percezione di interessi usurai, l’appoggio ai regimi dittatoriali, l’imposizione degli accennati programmi di aggiustamento strutturale e la violazione di varie norme di diritto internazionale. Fra l’altro non è secondario che tra le principali vittime di queste politiche siano proprio le donne e i loro percorsi di liberazione.
Più in generale risulta a tutti coloro le cui facoltà intellettive non siano irrimediabilmente danneggiate dal servilismo e dall’ideologia, che viviamo attualmente sotto una vera e propria dittatura del capitale finanziario. Si vedano in merito opere di grande interesse come Finanzcapitalismo di Luciano Gallino (Einaudi 2011) o l’eccellente libretto Non rubare di Paolo Prodi e Guido Rossi (Il Mulino 2010). Ora, l’apparato istituzionale che presiede all’esercizio di tale potere è in parte formato proprio da istituzioni come il Fondo monetario internazionale.

E’ del tutto casuale che la persona che è alla testa di quest’ultima istituzione, colpita da arroganza del potere, si renda colpevole di comportamenti espressione, sul piano dei rapporti interpersonali, della stessa arroganza del potere che l’istituzione in questione, forte del denaro, ha mostrato su quello dei rapporti internazionali? Risulta quindi improponibile il parallelo fra Strauss Kahn e altri noti arroganti del potere, come il nostro buon Bunga Bunga (che almeno finora, a quanto pare, non ha dovuto peraltro ricorrere allo stupro per soddisfare la sua sconfinata libidine), parallelo che pure è stato formulato ad esempio da Marco Travaglio? Sembra in realtà che le vicende “private” dei potenti e il tipo di mentalità profonda che esse rivelano ad esempio nel modo in cui si approcciano al corpo altrui e se ne appropriano, non siano del tutto disgiungibili dalla loro funzione pubblica, specie nella sciagurata età che viviamo del primato del denaro, in cui è tutto il pianeta ad essere quotidianamente stuprato dal capitale finanziario e dalle istituzioni ad esso funzionali, come ad esempio il Fondo monetario internazionale...