sabato 21 maggio 2011

Il saggio Sgorlon e la visione classista del vivere

Oggi affronto un tema che esula da quelli che di solito vengono trattati su questo blog: desidero infatti commentare brevemente qui il famoso romanzo "Il vento nel vigneto" del compianto Autore friulano Carlo Sgorlon.
Premetto che non è mia intenzione addentrarmi in una critica letteraria del libro nè dell'opera omnia di Sgorlon, non posseggo i mezzi culturali per farlo e non è questa la sede: la mia vuole essere semplicemente l'opinione di un comune lettore, friulano doc, come si usa dire, così come era un friulano doc il Maestro di Cassacco.
Questo libro lo lessi per la prima volta all'età di dodici anni ed era il testo di narrativa adottato dalla Scuola Media Inferiore della Provincia di Udine e ho avuto modo di rileggerlo di recente: ebbene, a distanza di tanti anni, l'impressione finale odierna è rimasta pressochè identica a quella di allora.
Bel romanzo, ben scritto, ricco di insegnamenti morali ma la sua conclusione non mi soddisfò a quel tempo e non mi trova concorde neanche oggi.
In breve, dopo tanto lottare per tornare ad inserirsi nella società che trent'anni prima lo aveva condannato all'ergastolo per un delitto d'impeto, bestiale ma non del tutto gratuito, il protagonista del romanzo, Eliseo Bastianutti, si vede costretto a rinunciare al suo desiderio più grande, quello di rifarsi una vita sposandosi con una vedova madre di un ragazzo appena adolescente, perchè, in sostanza, il nuovo matrimonio, oltre a poter essere presumibilmente molto chiacchierato e malvisto, toglierebbe alla donna la possibilità di continuare a percepire la pensione di reversibilità del defunto marito e questo, nel caso in cui Eliseo dovesse mancare o non potere più lavorare, così come nel caso dovessero avere dei figli, diventerebbe una sciagura per il futuro del figlio avuto dal primo matrimonio.
Di più, anche solo l'idea di potersi amare come uomo e donna senza andare prima in chiesa a chiedere la benedizione di Nostro Signore, non viene neppure adombrata nel romanzo: non dimentichiamo che siamo in un paese del Friuli della fine degli anni '50 e che i protagonisti sono un uomo e una donna maturi. Tuttavia, a ben vedere, questa possibilità l'Autore, sia pure alla lontana, la lascia intravedere, ma come un qualcosa da non dire, da non mostrare pubblicamente, da vivere piuttosto nell'ombra.
Ecco perchè, in sintesi, la conclusione della storia che vede Eliseo accontentarsi del suo lavoro e delle piccole gioie quotidiane, legate ai ritmi arcaici della civiltà contadina idealizzata dalla narrativa di Sgorlon, il bicchiere di vino in compagnia, il vigneto da curare dove, finchè Eliseo sarà vivo e chissà per quanto tempo dopo, si potrà ascoltare la voce del vento che fa stormire le foglie, non mi soddisfa.
Sembra quasi, e probabilmente è così, che nell'immaginario e nella scala di valori dell'Autore debbano esistere vite umane di serie A e di serie B, vale a dire chi può vivere liberamente e alla luce del sole le proprie emozioni e le proprie passioni e chi invece non lo può fare o lo può fare solo restando nell'ombra. Dopo magari, come nel caso del protagonista de "Il vento nel vigneto", avere già duramente scontato i propri errori e dopo una spietata esclusione sociale anche per quanto riguarda i diritti più elementari, come quello a poter lavorare.
Anche leggendo altre opere di Carlo Sgorlon, emerge questa visione fatalista e quasi, oserei dire, "classista" del vivere umano.
Carlo Sgorlon: narratore di vicende di popoli, di villaggi, di boschi, di tramonti, di vento... ma forse non sempre aedo di libertà.

  Renato Valusso

1 commento:

  1. Daniele Oian ha scritto:
    Curioso, lo lessi in classe anch'io quel romanzo, e la nostra insegnante ce lo propose nella versione in friulano, quando dire friulano significava "parlare male in italiano". Una sfida che invece noi alunni apprezzammo molto, anche perchè veniva da un'insegnante brava e coraggiosa non friulanofona.
    Sulla storia e sulla morale direi costante del Prof. Sgorlon sono d'accordo con te Renato. Lo scrittore era prof nella mia scuola e, per me, oltre all'ammirazione per la sua verve e capacità di scrittore, c'era una sorte di timore per quella persona così "rocciosa" e scostante. Quasi un personaggio uscito dalle sue stesse storie...

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