domenica 29 maggio 2011

Che cosa sta succedendo

Dal sito de Il Fatto Quotidiano del 26 maggio 2011


La Fiat sempre più americana, cronaca 

di un abbandono annunciato

Chrysler restituisce il prestito governativo e Fiat scala nuove posizioni. Con l’approssimarsi di quota 51% nella proprietà, Marchionne parla apertamente di fusione. Una prospettiva che rischia di marginalizzare il ruolo dell’Italia. Alla faccia dei proclami “nazionalistici” con cui buona parte del mondo politico e sindacale accolse l’esito del referendum del gennaio scorso.
Un passo indietro per rinfrescare la memoria, parte prima. Torino, 15 gennaio 2011. Con il 54% dei Sì, i lavoratori di Fiat Mirafiori promuovono l’accordo separato del 23 dicembre che riconosce il cambio di rotta richiesto dall’Ad Sergio Marchionne. Un successo sorprendentemente risicato su cui pesa il voto “bulgaro” dei colletti bianchi. Tra le circa 4.500 tute blu, i Sì si sono imposti per appena 9 voti. L’accordo sindacale appoggiato da tutte le sigle con l’eccezione della Fiom entra dunque in vigore con tutto il suo corollario di sacrifici scaricati sulle spalle degli operai. E il plauso è pressoché unanime. Se vincesse il No «le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi» aveva dichiarato solo pochi giorni prima il premier Silvio Berlusconi agitando lo spauracchio della temuta fuga del Lingotto dall’Italia. Un timore, o per meglio dire un ricatto, alla base di quelle ragioni del Sì puntualmente ribadite al termine della consultazione.
Un passo indietro per rinfrescare la memoria, parte seconda. Una breve rassegna dei commenti principali nel day after referendario. Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl: «E’ un risultato prodigioso, è la prima volta che si vince un referendum a Mirafiori». Paolo Romani, ministro dello Sviluppo economico: «La vittoria del sì è uno snodo fondamentale per la costruzione del futuro di Mirafiori. Adesso Fiat ha tutte le carte in regola per tornare a essere una grande azienda multinazionale italiana». Pierluigi Bersani, leader del Pd, più cauto: «Adesso quel risultato va rispettato, e va rispettato anche per quel tanto di disagio che rappresenta. Quindi ora Fiat mantenga gli impegni e si rivolga a tutti i lavoratori». Francesco Rutelli, Alleanza per l’Italia: «un risultato che è segno di grande responsabilità da parte dei lavoratori di Mirafiori». Pier Ferdinando Casini, segretario Udc «nel sì di Mirafiori c’è una grande saggezza». Luigi Angeletti, segretario generale Uil: «Alla fine hanno vinto le ragioni del lavoro». Infine Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim Cisl: «Nasce lo stabilimento del futuro. Ora festeggia Torino, sbaglia chi pensa che Marchionne va a festeggiare a Detroit».

Sterling Heights, Michigan, 24 maggio 2011. Per Sergio Marchionne arriva il giorno della gloria o, per lo meno, quello della festa annunciata. Solo che il party non è stato preparato a Torino bensì proprio nel principale sobborgo di Detroit, la “motown” per eccellenza, la città della Chrysler. L’azienda americana completa il rimborso del maxi prestito congiunto contratto con i governi di Usa e Canada, un fardello da oltre 7 miliardi di dollari la cui restituzione consente alla Fiat di completare un’ulteriore tappa della propria scalata. La partecipazione del Lingotto in Chrysler sale al 46%, con un nuovo avvicinamento alla quota obiettivo del 51%, preludio alla definitiva fusione. Nonché, si intuisce, al definitivo abbandono di Torino, centro direzionale ormai inadeguato a un’impresa globale quale la nuova creatura dovrebbe essere.

«Noi stiamo facendo il possibile per accelerare questo ritmo ed arrivare, nel più breve tempo possibile, alla nascita di un solo gruppo in grado di garantire maggiore stabilità e forza alla relazione nell’interesse di entrambi i partner» ha spiegato Marchionne. E non sono parole casuali. Il gruppo si prepara alla fusione, una questione “non immediata” ma anche un traguardo scontato. Così come scontato, ed è questo l’aspetto principale della questione, è il trasferimento della sede decisionale negli Stati Uniti. Troppo importante il mercato americano per non assumere il ruolo di core business del gruppo, troppo depressa l’economia italiana per garantire un incremento delle vendite capace di rilanciare la coppia Fiat-Chrysler. Il mercato italiano, scriveva a novembre l’Economist, è troppo “piccolo e poco competitivo per garantire una sopravvivenza a lungo termine”. Come a dire che ad esso dovrà essere riservato un ruolo marginale. E’ vero, Marchionne ha confermato l’impegno da 20 miliardi per Fabbrica Italia ma il futuro, a rigor di logica, sembra lontano dal capoluogo.

Il rilancio di Chrysler, compagnia tecnicamente fallita nel 2009, è una priorità oltre che l’obiettivo più ragionevolmente conseguibile a fronte delle potenzialità del mercato Usa. L’azienda ha sì restituito il prestito ma non lo ha fatto mettendo mano agli utili bensì emettendo nuove obbligazioni. In pratica Detroit deve ancora fare fronte un debito da 7,5 miliardi, con la differenza che questa volta i tassi sono decisamente più bassi (gli interessi caricati da Washington e Ottawa oscillavano tra il 14% e il 20%) con un risparmio previsto di 300 milioni di dollari all’anno. A febbraio Marchionne aveva rotto gli indugi ipotizzando un trasferimento del quartier generale proprio a Detroit. L’ipotesi intermedia di un doppio centro direzionale diviso tra il Michigan e il capoluogo piemontese resta un’idea estremamente labile e decisamente poco convincente. Marchionne, guarda caso, non ne parla e agli esperti di organizzazione industriale l’ipotesi sembra sostanzialmente irrealizzabile. “Come fai a gestire 23 persone che riferiscono a te a Detroit e altre 25 a Torino?” si chiese retoricamente il presidente di Chrysler Robert Kidder in un’intervista al Wall Street Journal dello scorso febbraio. “Non scherziamo, è chiaro che se la sede è in America e un domani arriva un governo democratico di Cuba che offre condizioni vantaggiose, Marchionne non ci penserebbe due volte a spostare la produzione da Torino all’Avana – spiegò al tempo stesso un ex dirigente Fiat al Fatto Quotidiano. L’Italia sarà alla pari della Polonia o del Brasile: una colonia”.

Probabile. Di certo, però, non sarà la colonia più promettente. Per lo meno dal punto di vista degli azionisti. Le cifre le aveva ribadite l’Economist nel recente passato: “In Italia – scriveva a novembre il settimanale britannico – 22mila lavoratori distribuiti su cinque fabbriche producono ogni anno 650mila automobili. Nella principale installazione Fiat in Brasile, appena 9.400 dipendenti ne realizzano 750mila. L’impianto polacco fa ancora meglio: 6.100 lavoratori per 600mila vetture”. Le conseguenze sono ovvie. “E’ facile immaginare che la Fiat possa lasciare appassire i propri impianti (in Italia – ndr) iniettando nuovi investimenti nei Paesi caratterizzati da una crescita delle vendite e da una produttività più alta”. Il piano di Fabbrica Italia resta, d’accordo, ma ciò non toglie che nel medio lungo periodo la Penisola rischi di diventare sempre più marginale. Siamo sicuri, dunque, che la scelta “obbligata” del Sì al referendum fosse davvero giustificata? Insomma, ne valeva davvero la pena?

La risposta negativa, a suo tempo, la diede di fatto solo la Fiom di Maurizio Landini, lo stesso Landini con il quale Marchionne si augurerebbe di avere “lo stesso rapporto” che ha “con Bob King”, leader della United Auto Workers (UAW), il principale sindacato Usa del settore. Quello che Marchionne non dice, tuttavia, è che la Uaw è anche il maggiore azionista di Chrysler con il 45% dei titoli. Quando la Fiat raggiungerà la maggioranza, l’organizzazione di King continuerà a controllare il 41% dell’azienda. In sintesi, la Fiat dovrà pensare ai suoi azionisti, la Uaw anche. Solo che in quest’ultimo caso gli stakeholders saranno, in pratica, i lavoratori stessi. La domanda, quindi, è ovvia: in caso di “conflitto” tra Mirafiori e Sterling Heights quali operai avranno le maggiori probabilità di essere tutelati? Chissà se la coppia Angeletti-Bonanni avrà voglia di azzardare una risposta.

Ricordate quello che scrissi nel post su Mirafiori pubblicato su questo blog in data 29 gennaio 2011?
Ve lo riporto sotto integralmente.

Chiedo spazio per alcune righe sui fatti di Mirafiori, evento emblematico del corso della politica economica in Italia e in Europa.
Stiamo assistendo ad un feroce attacco ai diritti dei lavoratori che rappresenta la continuazione di un più vasto piano di indebolimento del lavoro salariato in Europa , supportato in questo caso da una campagna che si regge in buona parte sul falso. A quest'ultimo proposito, alcuni dati:
1°) Fiat Group Automobiles, in tutto il 2010, ha immatricolato 589mila vetture rispetto alle 707mila del 2009, con un calo dei volumi pari 16,7 per cento. Wolkswagen, Renault, Citroen, Bmw vendono e si espandono sui mercati, Fiat no. Le sue auto vendono di meno da anni, quindi il problema non sta nello scarso rendimento del personale operaio ma nel prodotto.
2°) Stime ufficiali ci dicono che il costo del lavoro non pesa più dell'8 per cento sul prodotto finale.Va ricordato che i nostri salari sono tra i più bassi dell'Occidente.
3°) L'assenteismo in Mirafiori è nell'ordine del 6 per cento, quindi in realtà a livelli assolutamente fisiologici.
4°) L'operazione Chrysler non è stata una conquista napoleonica di Sergio Marchionne ma una mossa in extremis: la Fiat era sull'orlo del fallimento, Chrysler anche, i fondi stanziati da Obama e il ricatto occupazionale hanno chiuso il cerchio.
Da notare che i lavoratori della Chrysler, che per poter salvare il posto hanno accettato un aumento dell'orario di lavoro e la riduzione del salario, non godono, come tutti negli Stati Uniti, di pensione e assistenza medica garantite in quanto da loro questi diritti sono aziendali: se l'azienda fallisce il dipendente non perde solo il salario ma anche pensione e assistenza (solo gli americani benestanti stipulano un'assicurazione propria) e da questo non sembra azzardato dedurre che spiegare ai responsabili dell'Uaw,il sindacato unico dei lavoratori Chrysler, al quale Obama ha affidato il controllo della fabbrica, come i lavoratori italiani possano contrattare condizioni di lavoro migliori, con una futura pensione (sia pure ipotetica di questi tempi e comunque misera) e l'assistenza medica già garantite dallo Stato, esporrebbe Marchionne a delle contestazioni e a delle richieste, soprattutto richieste, non gradite.
Inoltre, l'accordo di Mirafiori propone di vietare lo sciopero e la rappresentanza sindacale a chi non aderisce: se in Italia esistesse una vera opposizione politica, questo attentato ai diritti dei cittadini prima ancora che a quelli dei lavoratori le basterebbe ed avanzerebbe per motivare un netto rifiuto.
E' ripugnante che un'azienda come la Fiat che per decenni ha ricevuto dallo Stato ogni sorta di finanziamenti e di incentivi, senza mai aver mantenuto le promesse di investimenti privati e nel prodotto, anzi gli Agnelli quei soldi li hanno trasferiti all'estero, oggi si permetta di taglieggiare a questo modo i lavoratori italiani.
Vorrei fosse chiaro a tutti che la tremenda crisi economica che stiamo cominciando a conoscere in modo palpabile altro non è se non il risultato di una serie dissennata di speculazioni ed è di fatto essa stessa una speculazione, giocata sulla vita dei popoli e che quegli stessi poteri economici che hanno originato il disastro lo stanno volgendo a proprio esclusivo vantaggio, indifferenti al danno sistemico che provocano in tal modo. In altre parole: sempre più soldi a chi ha fatto il danno e le conseguenze negative che se le becchino i popoli, tanto sono lì solo per quello.
Non posso però esimermi dal rivolgere un ulteriore pensiero ai ricattati della Fiat: coraggio,amici ,male che vada lo sapete che non finirete alla stessa stregua degli operai cinesi ,perlomeno non ancora, anzi vi posso assicurare che starete comunque meglio, finchè durerà e quindi ancora per pochi anni, di milioni di altri lavoratori, italiani e immigrati, che vengono sfruttati ignobilmente ogni giorno dalle troppe sedicenti cooperative di servizi e di produzione lavoro o da aziende scalcinate o truffaldine e per i quali, in novantanove casi su cento, la rappresentanza sindacale è ed è sempre stata soltanto una parola. Del resto il potere economico già da anni, nel perseguire una strategia volta esclusivamente ad ottenere grandi profitti per il capitale privato, è arrivato alla bestemmia di precarizzare il lavoro, che è la linfa vitale dei popoli, con il pretesto della flessibilità.
I diritti dei lavoratori non devono essere frutto di una fase economica prospera o dell'impegno dei sindacati nell'ambito di una singola grande azienda: o ci sono o non ci sono e se ci sono devono essere uguali per tutti. Non devono essere un mercato e un sistema iniqui e fallaci che creano esclusivamente grandissimi profitti per pochi a discapito di tutti gli altri, sostenuti in questo da dei governi-fantoccio, a stabilire se possiamo considerarci di volta in volta degli esseri umani con tutti i nostri diritti oppure degli automi o del bestiame da macello. Se non si capisce questo, non ci sarà mai niente da fare.
Tutto lascia supporre, considerando il contesto globale, che il futuro deciso dall'alto per i lavoratori della Fiat, all'incirca come quello che si verificherà per milioni di altri operai europei, sarà quello di assemblare auto americane in pochi stabilimenti, in numero sempre più ridotto, per remunerazioni sempre più basse, fino a quando gradualmente il lavoro umano alla catena di montaggio verrà soppiantato del tutto dall'automazione, come è già avvenuto in altre zone del mondo.
Cambiare l'assetto monetaristico ed economico delle nazioni, per ottenere condizioni di vita e di lavoro più eque per tutti, è ancora possibile: esistono idee di insigni economisti che possono essere utilizzate per farlo ma l'azione propositiva e di cambiamento deve cominciare dal basso perchè a chi sta in alto, e intendo dire molto più in alto della stessa casta dei politici, e detiene le leve del potere economico questo infame modello di" sviluppo" neoliberista e neomercantilista rende più che bene.
Soltanto l'associazionismo tra semplici cittadini e il diffondere l' idea economica alternativa possono condurre ad un cambiamento: non c'è un'altra via da percorrere.
Non c'è.

 Già che ci siete, guardatevi questo video:



 e anche questo:



Insomma, c'è poco da essere ottimisti: chi veramente guida il vapore ha tutto l'interesse a nascondere la verità, la stragrande maggioranza delle persone è completamente ignara dei meccanismi economici che sovrintendono al suo destino e a quello dei suoi figli, quei pochi che chiaramente o in confuso hanno capito non hanno la possibilità concreta di agire per cambiare il corso delle cose e forse ormai è troppo tardi per poterlo fare.
Forse tre cose soltanto ci restano e sono: pensare, resistere, testimoniare.
Credo che comunque in un futuro, forse non prossimo, se sapremo pensare con la nostra testa e insegnare a chi prenderà il nostro posto, quando noi non ci saremo più, la dignità, il coraggio e la consapevolezza  che l'attuale sistema di disvalori ha tolto a noi, potrà crescere una società più giusta e libera, una concezione superiore del vivere umano, una vera democrazia partecipata, ma fino a quel giorno sarà vittorioso il sorriso beffardo delle maledette elites sulla grigia ignavia di milioni di esseri umani oppressi e prigionieri che non hanno la coscienza di esserlo.

Renato Valusso


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