Greenpeace: "I biocarburanti sono dannosi per l'ambiente"
di Alessio Pisanò
Secondo uno studio dell'organizzazione ambientalista il biodiesel non solo non abbatte le emissioni di CO2, ma influisce negativamente su cambiamento climatico, deforestazione ed estinzione di specie a rischio. “Bruxelles deve rivedere la sua strategia di sostenibilità energetica”
Causa di cambiamento climatico o rispettosi dell’ambiente? Questo è il dilemma sull’utilizzo dei biocarburanti in Europa. Quando sono stati introdotti sul mercato, dovevano essere la grande panacea per abbattere le emissioni inquinanti nei trasporti sostituendo per sempre i combustibili fossili. Oggi invece i biocarburanti rischiano di rivelarsi la fregatura ambientale più grossa degli ultimi decenni.
Secondo l’ultimo rapporto di Greenpeace “Metti (l’estinzione di) una tigre nel motore”, i biocarburanti non solo non diminuiscono le emissioni di CO2, ma aumentano il cambiamento climatico, la deforestazione e l’estinzione di specie a rischio, come la povera tigre di Sumatra, appunto. L’associazione sostiene che i biocarburanti ricavati da colza, soia e olio di palma, usati per miscelare il diesel venduto in Europa, lo renderebbero addirittura più dannoso dei combustibili fossili.
Greenpeace ha raccolto 92 campioni diesel in stazioni di servizio delle principali compagnie (Esso, Agip, Shell) in nove Paesi Ue e li ha fatti analizzare da un laboratorio tedesco specializzato. I campioni con la maggiore percentuale di biocarburanti (tra il 5 e il 7%) sono stati trovati in Francia, Germania, Italia, Svezia e Austria. Mentre in Francia la coltura più utilizzata è risultata la soia, in Italia è stata riscontrata un’altissima percentuale di olio di palma, uno dei componenti più inquinanti. Ecco allora che “gli italiani che si preparano per lunghi viaggi in macchina per le ferie estive, senza saperlo faranno il pieno di cambiamenti climatici, deforestazione ed estinzione di specie”, sostiene Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia. “Servono subito leggi che limitino l’uso dei biocarburanti che distruggono clima e foreste e che favoriscano soluzioni più efficienti”.
Secondo l’ultimo rapporto di Greenpeace “Metti (l’estinzione di) una tigre nel motore”, i biocarburanti non solo non diminuiscono le emissioni di CO2, ma aumentano il cambiamento climatico, la deforestazione e l’estinzione di specie a rischio, come la povera tigre di Sumatra, appunto. L’associazione sostiene che i biocarburanti ricavati da colza, soia e olio di palma, usati per miscelare il diesel venduto in Europa, lo renderebbero addirittura più dannoso dei combustibili fossili.
Greenpeace ha raccolto 92 campioni diesel in stazioni di servizio delle principali compagnie (Esso, Agip, Shell) in nove Paesi Ue e li ha fatti analizzare da un laboratorio tedesco specializzato. I campioni con la maggiore percentuale di biocarburanti (tra il 5 e il 7%) sono stati trovati in Francia, Germania, Italia, Svezia e Austria. Mentre in Francia la coltura più utilizzata è risultata la soia, in Italia è stata riscontrata un’altissima percentuale di olio di palma, uno dei componenti più inquinanti. Ecco allora che “gli italiani che si preparano per lunghi viaggi in macchina per le ferie estive, senza saperlo faranno il pieno di cambiamenti climatici, deforestazione ed estinzione di specie”, sostiene Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia. “Servono subito leggi che limitino l’uso dei biocarburanti che distruggono clima e foreste e che favoriscano soluzioni più efficienti”.
Ma è davvero possibile che i biocarburanti, pensati per abbattere le emissioni di CO2 e proteggere l’ambiente, sortiscano addirittura l’effetto contrario? Secondo gli ultimi studi, purtroppo sì. Prima di tutto per ricavare i due elementi chimici alla base dei biocarburanti di prima generazione (il protossido di azoto e il bietanolo) viene emessa in atmosfera un’alta quantità di gas a effetto serra. Poi bisogna considerare tutta una serie di effetti collaterali dovuti dalla coltura estensiva di biomasse, come grano e mais, che produce sia gas a effetto serra (lavorazione del terreno, produzione fertilizzanti, emissioni capi d’allevamento) che una diminuzione nella disponibilità delle derrate alimentari a livello mondiale con conseguente aumento del prezzo dei generi alimentari su scala mondiale. “Senza contare”, aggiunge Greenpeace, “che non c’è abbastanza terreno al mondo per produrre biomasse e derrate alimentari da qui al 2050, quando saremo 9 miliardi”.
Insomma per considerare veramente “sostenibili” i biocarburanti bisogna considerare il loro intero ciclo produttivo. Sembra essersene resa conto Bruxelles grazie agli ultimi studi che rivelano come il processo produttivo dei biocarburanti derivati da olio di semi (l’80% del totale) vanifichi tutti gli sforzi compiuti dall’Ue per raggiungere gli obiettivi di abbattimento emissioni CO2 prefissati per il 2020. Si tratta di prendere in considerazione quello che gli esperti chiamano “Indirect land-use change” (Iluc), ovvero tutti gli effetti indiretti causati dalla coltura e dall’utilizzo di questi biocarburanti. “Solo gli effetti sui terreni coltivati vanificano la metà dei risparmi di emissioni rispetto ai combustibili fossili”, si legge in un report dell’International Food Policy Research Institute (Ifpri).
Una dura realtà con la quale Bruxelles si vede costretta a fare i conti, nonostante le alte aspettative nei confronti dei biocarburanti. Il loro utilizzo nel 10% nei trasporti europei avrebbe dovuto far diminuire le emissioni di CO2 del 35% nell’immediato e del 50% a partire dal 2017. La stessa Commissione europea ha fatto qualche ammissione il 19 luglio durante la presentazione di sette progetti nazionali d’impatto ambientale dei biocarburanti. “Dobbiamo assolutamente garantire che l’intero loro ciclo produttivo e di fornitura sia sostenibile”, ha ammesso il commissario Ue all’energia Günther Oettinger. Bene, ma secondo Greenpeace non basta. “In Europa è controproducente usare biocarburanti per il 10% del fabbisogno energetico interno. Meglio optare per fonti energetiche pure come il fotovoltaico, e l’eolico”, sostiene l’organizzazione ambientalista. E se proprio di biocarburanti si deve parlare, “meglio ottenerli da un utilizzo locale di rifiuti agricoli e forestali non utilizzati come concime”.
Insomma per considerare veramente “sostenibili” i biocarburanti bisogna considerare il loro intero ciclo produttivo. Sembra essersene resa conto Bruxelles grazie agli ultimi studi che rivelano come il processo produttivo dei biocarburanti derivati da olio di semi (l’80% del totale) vanifichi tutti gli sforzi compiuti dall’Ue per raggiungere gli obiettivi di abbattimento emissioni CO2 prefissati per il 2020. Si tratta di prendere in considerazione quello che gli esperti chiamano “Indirect land-use change” (Iluc), ovvero tutti gli effetti indiretti causati dalla coltura e dall’utilizzo di questi biocarburanti. “Solo gli effetti sui terreni coltivati vanificano la metà dei risparmi di emissioni rispetto ai combustibili fossili”, si legge in un report dell’International Food Policy Research Institute (Ifpri).
Una dura realtà con la quale Bruxelles si vede costretta a fare i conti, nonostante le alte aspettative nei confronti dei biocarburanti. Il loro utilizzo nel 10% nei trasporti europei avrebbe dovuto far diminuire le emissioni di CO2 del 35% nell’immediato e del 50% a partire dal 2017. La stessa Commissione europea ha fatto qualche ammissione il 19 luglio durante la presentazione di sette progetti nazionali d’impatto ambientale dei biocarburanti. “Dobbiamo assolutamente garantire che l’intero loro ciclo produttivo e di fornitura sia sostenibile”, ha ammesso il commissario Ue all’energia Günther Oettinger. Bene, ma secondo Greenpeace non basta. “In Europa è controproducente usare biocarburanti per il 10% del fabbisogno energetico interno. Meglio optare per fonti energetiche pure come il fotovoltaico, e l’eolico”, sostiene l’organizzazione ambientalista. E se proprio di biocarburanti si deve parlare, “meglio ottenerli da un utilizzo locale di rifiuti agricoli e forestali non utilizzati come concime”.
Ecco allora che Greenpeace chiede l’introduzione di “normative vincolanti per ridurre l’uso di ogni tipo di combustibile, inclusi i biocarburanti, e una legislazione che obblighi i produttori di energia a calcolare le emissioni dei biocarburanti includendo quelle derivanti dal cambio d’uso dei suoli indiretto”.
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