Amici di Quiudinelibera, in questo post Vi riporto due lettere pubblicate nei giorni scorsi dal Messaggero Veneto, una del 17 agosto a firma di Livio Braida di San Giovanni al Natisone e l'altra del 10 dello stesso mese di Laura Lai di Tolmezzo.
Sono entrambe espressioni di una criticità piuttosto amara verso l'attuale stato delle cose nei settori del lavoro e dell'economia, con particolare riferimento alle nostre zone nello scritto di Laura Lai, e più in generale, con un'accento sulla precarietà del lavoro oggi, nella lettera di Livio Braida.
r. v.
Il lavoro a chiamata è un'ingiustizia sociale
di Livio Braida
La rubrica del Messaggero Veneto del 29 luglio riporta un intervento dell’Ordine dei Consulenti del lavoro di Udine sul tema del primato statistico dei voucher del Friuli Venezia Giulia, relativi al “lavoro occasionale accessorio”. Se spostiamo la questione dal piano statistico o da quello del diritto del lavoro, a quello del diritto costituzionale o a quello semplicemente “umano”, la prospettiva tuttavia cambia: dalla celebrazione di un “primato” si passa a quella di un funerale. Infatti un lavoro “occasionale” vuol anche dire fortuito, casuale. Allo stesso modo “accessorio” significa ciò che si accompagna a qualcosa di principale e necessario. Già associare il lavoro ai concetti di “caso” e di “marginale” di per sé mette i brividi. Ma stiamo al dunque. Or bene, se prendiamo il campo dei giovani di cui si parla nell’articolo, studenti in particolare, che durante l’estate possono usufruire dei voucher a 7,50 euro netti per buono, qualcuno potrebbe esprimere soddisfazione. A otto ore il giorno per 5 giorni, un giovane potrebbe guadagnare 300 euro la settimana, che fanno 1200 euro il mese. Se tuttavia il sistema dei voucher si estende agli adulti; se copre ore di “lavoro nero”, come accade di norma con i lavori stagionali (a quanto pare per nulla monitorati, per ammissione degli stessi interessati, riluttanti però a sporgere denuncia, per timore di perdere quel poco che già hanno); se questo stesso sistema significa “lavori a chiamata”, che possono arrivare o no, che possono inchiodarti a lungo nell’ozio a casa, o spremerti in azienda quando servi, in un concentrato di fatica; se tutto questo accade, si può dire che siamo al capolinea della società del lavoro, dunque al suo funerale. Non so se per fortuna o per merito, mi trovo oggi a godere di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ciò è accaduto fin da giovane e mi ha permesso di programmare un minimo la mia vita: relazioni umane, aggiornamento culturale, salute, acquisti, vacanze. Ebbene, malgrado ciò, il declassamento del ceto medio di questi anni ha fatto di noi dei working poors, dei lavoratori poveri. Il nostro stipendio è borderline, alle soglie della povertà relativa: basta un incidente d’auto, un dentista, una qualsiasi spesa d’emergenza a farci precipitare al di sotto di questa soglia, e contare l’ultimo euro per arrivare a fine mese, o impiccarci col consumo a debito. Se ciò è vero per quel che ci riguarda, come possiamo allora valutare i lavoratori a chiamata, quelli stagionali, i precari e così via, quelli di cui oggi tanto si parla, ma per i quali poco si fa? A mio avviso è bene chiamarli per quel che sono: un misero sottoproletariato, dei potenziali homeless, cui solo i sacrifici delle famiglie che li ospitano possono offrire un tetto e una maschera di dignità umana. Il “lavoro a chiamata”, a mio avviso, è una autentica ingiustizia sociale, una vera forma di semischiavitù. Infatti il lavoro non si misura in numeri, non è solo denaro, né deve farci sentire dei tappabuchi: è una attività essenziale non alla sopravvivenza, ma alla vita: è necessaria a creare, a relazionare, a crescere umanamente in una collettività, e a far crescere l’impresa come una seconda famiglia. Come la mettiamo se il lavoro è precario, sottopagato, “a singhiozzo”? Non riuscirò mai, in questo mondo, a realizzare con continuità le mie capacità di homo faber, non coltiverò relazioni umane proficue con i colleghi: soprattutto finirò per disprezzare l’impresa di cui ho bisogno, ma che mi tratta così, come, appunto, qualcosa di “occasionale e accessorio”. Ammettiamo pure che la mia vita sia qualcosa di occasionale, un divenire che non ha né scopo né fine: beh, di certo non accetterei fosse anche accessoria! Siamo nati per essere protagonisti nella nostra vita, non nel senso patetico, che vuole la “società dello spettacolo”, ma per persone che hanno il diritto di realizzarsi nei limiti di quello che possono dare. Ce lo hanno insegnato tutti, dal Cristianesimo, al Liberalismo, al Marxismo. Ora siamo al capolinea: sembra che nemmeno questa possibilità ci sia concessa. Così al telefono aspettiamo qualche elemosina, “occasionale e accessoria”, che prolunghi la nostra agonia.
Le difficoltà di una diplomata in chimica
di Laura Lai
Leggendo l’articolo pubblicato il 28 luglio scorso dal Messaggero Veneto, a proposito del lavoro nel settore chimico, emerge, a quanto vien detto, che l’offerta di lavoro supera la domanda. Ora mi viene da chiedere, vista la mia esperienza: dove sono tutte queste opportunità di lavoro per chimici in Friuli? Io non ne ho trovato e non lo trovo. Mi sono diplomata all’Isis Solari di Tolmezzo nel corso per tecnici delle industrie chimiche-biologiche e sono stata a casa un’anno prima di trovare lavoro in un laboratorio di analisi a Udine al quale, per mia fortuna, non interessava se io avessi una laurea in chimica o esperienze nel settore. Già perchè, in questo settore e nella maggior parte delle aziende, cercano personale che abbia già esperienze e con laurea, quindi la ricerca si fa sempre più ardua. In più, penso di parlare per la maggior parte dei ragazzi che vivono in Carnia e che hanno conseguito un diploma in chimica, da noi quassù non c’è nessun tipo di azienda che si avvicini almeno un po’ alla chimica, ci sono due laboratori di analisi che però non possono assumere perchè troppo piccoli e per la carenza di lavoro. Le cartiere invece se assumono tecnici chimici prendono solo personale maschile per via del trasporto dei campioni. Di tutti i ragazzi che conosco diplomati in chimica all’Isis Solari di Tolmezzo, si possono contare sulle dita coloro che sono riusciti a trovare lavoro nel settore della chimica; io ero tra questi fortunati sino a poco tempo fa ora sono in disoccupazione e non riesco a trovare lavoro in questo settore particolare. Se si vuole lavorare si è obbligati a trasferirsi! So che bisogna fare dei sacrifici e bisogna spostarsi, io l’ho fatto, ma sarebbe ora che le aziende del settore chimico e/o simili che tanto cercano i tecnici o periti chimici, investano non solo verso la Bassa, ma anche qua da noi in Carnia o comunque nella zona pedemontana e avviassero qualche azienda in modo da dare lavoro a tutti i ragazzi che escono dalla scuola con diploma in chimica, perchè molti di noi non hanno la possibilità di trasferirisi o semplicemente perchè non vogliono lasciare la Carnia che ormai sta incominciando a essere dimenticata.
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