da il Fatto quotidiano del 29 luglio 2011
Crisi anche in Israele, gli “indignati” contro il premier Neatanyahu
Gli indignati israeliani, che da due settimane protestano in tutto il Paese contro il caro vita e l’inflazione, domani usciranno dalle loro tende di fortuna per marciare uniti verso l’ufficio del primo ministro Netanyahu. Ai giovani e ai tanti indigenti che non riescono più a sopravvivere nella “terra promessa”, si uniranno anche i medici che da giorni sono entrati in sciopero. La loro indignazione del resto è molto simile: chiedono l’aumento dei salari, sempre più inadeguati a far fronte all’incremento del lavoro e alla simultanea perdita del potere d’acquisto dei loro salari.
Labour party, da pochi mesi orfano di Ehud Barak, che ha preferito lasciarlo pur di rimanere ministro della Difesa nell’attuale governo di destra, invece resta in silenzio. Contribuì, in accordo con il Lijud a rivedere verso il basso il welfare. Fu uno dei passi falsi più clamorosi di questo partito, che da tempo non rappresenta più una credibile alternativa alla destra e ai partiti religiosi. Anche i giovani coloni e gli ultraortodossi vorrebbero protestare e si sono affacciati sempre più numerosi sulle piazze di Gerusalemme e Tel Aviv, dove i manifestanti hanno bloccato le arterie principali con sit-in permanenti.“Nessuno ha intenzione di andarsene – dice Roi, un giovane medico di Tel Aviv – per entrare alla facoltà di medicina bisogna superare test durissimi e dopo tanti sacrifici ora mi trovo ad avere uno stipendio con cui riesco appena a pagarmi un monolocale e a comprare da mangiare. Esco poco perché sono stanco e ho spesso turni di notte ma non è possibile vivere così, sempre attenti a tutto. E comunque una casa decente non potrò comprarla se i prezzi resteranno questi”. Ma Roi non è certo il più sfortunato. Shira è un avvocato, laureata da due anni, che lavora in uno studio associato di Gerusalemme: “Non riesco a vivere da sola. Devo condividere l’appartamento con due colleghi. Prendiamo troppo poco, abbiamo appena aperto lo studio. Le cose però non vanno molto bene. La gente comune non ha i soldi per pagarci e spesso aspettiamo mesi prima di venire pagati”.
Due soldatesse che vivono nel sud di Israele si lamentano perché, essendo di stanza a Tel Aviv, hanno dovuto affittare un appartamento. “Quando ci danno i congedi di due o tre giorni non possiamo tornare al sud e quindi condividiamo casa con due ragazzi di Jaffa. Loro lavorano in una casa in un centro commerciale e in una casa di riposo”. I soldati di leva fino a qualche anno fa avevano delle agevolazioni ma ora non più. E il malcontento nell’esercito non è un bel presagio per il governo Netanyahu che ha dovuto rinunciare a un viaggio in Europa per occuparsi di piani urbanistici e smorzare le proteste con iniziative di edilizia popolare. Disegni di legge che sono già stati bollati come insufficienti. Nelle strade di Tel Aviv e di Gerusalemme, le due città principali, aumentano di giorno in giorno barboni e giovani senza tetto. Nei pressi della stazione degli autobus di Tel Aviv, ai giovani gay senza tetto, sbattuti fuori di casa dai genitori e costretti a prostituirsi, si aggiungono costantemente ragazzi ebrei e arabi israeliani disoccupati.
di Roberta Zunini
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