Pubblichiamo la seconda parte dell'intervento di Guido Grossi. La prima la potete leggere cliccando qui.
La Responsabilità nella scelta di allocazione
PARTE SECONDA La scelta delle Banche
Un cliente apre un conto e deposita il suo risparmio presso la banca. Questa sua scelta determina, per la banca, una operazione di raccolta diretta: la banca ha un debito nei confronti del cliente, e la disponibilità del denaro. Come lo utilizza?
Nuovi clienti si presentano allo sportello. Chiedono un prestito per sostenere la propria attività economica o professionale. Quali sono i criteri che la banca usa per operare le sue scelte? A chi presterà la sua disponibilità?
Anche in questo caso - come in tutte le operazioni di impiego dei capitali - lo strumento che viene utilizzato è il rapporto fra il rischio dell’operazione, ed il suo rendimento.
Il rendimento dell’operazione è abbastanza semplice da capire: è rappresentato dal tasso di interesse che la banca applica al prestito concesso, dedotti i costi.
Comprendere, valutare e misurare il rischio, invece, è cosa ben più complicata.
Il cliente che vuole avviare un’attività produttiva o professionale, sarà capace di produrre sufficiente ricchezza per guadagnarsi da vivere e per restituire capitale e interessi? Il rischio è contenuto tutto nell’incertezza di qualsiasi risposta alla presente domanda.
E’ importante saperlo: se il cliente non potrà restituire quei soldi, la banca non potrà rimborsare il proprio cliente depositante. Se ciò accade spesso, la banca fallisce (o, più precisamente, va in amministrazione controllata).
Un modo molto serio per valutare il rischio è quello di mettere il proprio naso in maniera più approfondita possibile negli affari del cliente. Valutare come si comporta. Quanto sia prudente e responsabile nel comprendere e nel gestire i rischi della propria attività. Questo implica una conoscenza professionale approfondita, da parte della banca, non solo del cliente e della sua azienda, ma anche dell’andamento generale dei mercati e del singolo settore produttivo nel quale il cliente opera. Perché queste cose influenzeranno i risultati aziendali, indipendentemente dalle sua capacità.
In fondo, se un nostro caro amico ci chiede in prestito dei soldi per avviare una attività economica, non faremmo noi dei ragionamenti simili? La conoscenza del nostro amico, il nostro giudizio sulla sua “affidabilità”, accompagnata dalla conoscenza delle prospettive di guadagno dell’attività che vuole mettere su, saranno le cose che ci faranno stare più o meno tranquilli.
Il mondo dell’economia è però complesso e mutevole: difficile da prevedere.
La banca cercherà di assicurarsi, prima di concedere il prestito, affinché il cliente possa restituire capitale e interessi anche nel caso in cui tutto andasse storto. Verificando che il cliente abbia un solido patrimonio e pochi debiti. Oppure chiedendo una vera e propria garanzia, reale o personale, in modo che, se il cliente fallisce, la banca possa salvare il suo credito utilizzando la garanzia.
Questo è un aspetto molto, molto importante. Sembra giusto assicurarsi, ma comporta conseguenze.
Quanto più la banca è in grado di conoscere in maniera approfondita e convincente sia le capacità professionali dell’azienda cliente, sia il settore economico nel quale l’azienda opera, tanto meno saranno necessarie le garanzie aggiuntive. Due conseguenze importanti: si può erogare più facilmente il credito, senza bisogno di garanzie. Più è elevata la professionalità dei funzionari di banca, tanto più basso sarà il numero delle insolvenze.
La conoscenza limita l’insolvenza. La garanzia no. La garanzia limita solo il danno, ma con costi sociali collaterali. Conoscenza e garanzia guardano in direzioni diverse.
Se il giudizio sul cliente e sul settore economico non è positivo, l’uso della garanzia è stupido, ipocrita, dannoso per la banca, per il cliente, per la società.
Riscuotere una garanzia ha, infatti, un costo. Un costo molto elevato. In termini di tempo, di denaro, di dolore individuale e sociale. Comporta una spesa pubblica, una distruzione di ricchezza. L’arricchimento di sciacalli.
Molti pensano che le banche, in maniera un po’ cinica, spingano volontariamente i clienti a fallire, per impossessarsi dei loro beni. Ma i beni oggetto di garanzia non entrano mai nella proprietà della banca (i monti di pegno non esistono più, mi pare). Vengono, invece, venduti (svenduti) ad un’asta giudiziaria. La banca difficilmente riesce a recuperare tutto il credito. Dal suo punto di vista, il fallimento dell’azienda resta un fatto negativo nel 99 per cento dei casi.
Detto questo, ci potremmo aspettare che le banche abbiano imponenti strutture di conoscenza professionale. Ci potremmo anche aspettare che le singole banche si specializzino per settori, concentrando la propria attività di prestiti in quei settori dell’economia che conoscono meglio. Pur mantenendo una adeguata ripartizione dei rischi su più settori.
Una volta, in effetti, nell’era arcaica, le banche facevano sostanzialmente questo. E lo facevano, salvo le dovute eccezioni, discretamente bene. Rispondevano al ruolo socio economico individuato e tutelato dalla Costituzione. Si assumevano la responsabilità di allocare le risorse (il risparmio) la dove si poteva ragionevolmente ritenere che avrebbero prodotto nuova ricchezza. E’ chiaro che c’erano gli errori e le distorsioni. I prestiti agli amici e la corruzione. Ma, nel complesso, il sistema funzionava.
Aspetto fondamentale: la conoscenza diretta del cliente crea un legame. Prima di stringere i cordoni della borsa, quando il cliente è in difficoltà, quel rapporto di conoscenza reciproca aveva il suo peso nel prendere la decisione: sostenerlo, oppure lasciarlo affondare.
Prima della “modernità”.
Poi sono arrivare, con la modernità ed il neo liberismo, le liberalizzazioni, le privatizzazioni, la competizione.
Il lungo e lento processo di liberalizzazione ha concesso alle banche di fare cose che prima non potevano fare. Investimenti sui mercati finanziari diretti e per conto dei clienti.
La privatizzazione delle banche ha portato in primo piano l’esigenza del profitto. Sempre e comunque. La competizione ha esasperato questo aspetto, rendendolo contrario al senso dell’etica: nel nome della competizione, che viene presentata come esigenza di sopravvivenza, si accetta l’intollerabile, oggi.
Grazie alla modernità.
Mettere su una struttura professionale dotata di buone capacità di valutazione è complesso e costoso. La competizione impone di tagliare i costi. E i costi sono stati tagliati.
Si sa, le macchine lavorano meglio degli uomini.. Basta mettere tutta la conoscenza di qualche “sapiente” in un computer, fare delle prove. Confrontare i modelli con gli altri soggetti che stanno facendo esperimenti simili. Confrontare i modelli con la realtà... E il gioco è fatto. Si possono licenziare quelle persone - un po’ fuori moda - che spendevano un sacco di tempo e di soldi per cercare di conoscere meglio i clienti.
Un modello matematico di gestione del rischio lavora sulle medie, sugli andamenti, su concetti astratti. Formula delle ipotesi, immette i dati di input, e analizza i risultati. E sa tanto di “scientifico”, di moderno.
Questi modelli hanno soppiantato, di fatto, la scelta umana. E sono stati voluti, fortemente, dalle autorità di vigilanza.
Autorità guidate dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, la banca centrale delle banche centrali, che favorisce il coordinamento e la diffusione di modelli standard che il sistema bancario deve recepire. Deve. Abbiamo tutti sentito parlare di Basilea I Basilea II e Basilea III.
Questi modelli, astratti, si basano sulla elaborazione statistica. Il loro obiettivo è di misurare il rischio futuro, basandosi essenzialmente sulla analisi dei comportamenti passati, arricchiti dal tentativo di misurare l’imponderabile.
Attenzione attenzione. In funzione del rischio assunto, è necessario che ogni banca sia dotata di un congruo capitale, per fronteggiare quel rischio.
Questa è la base del ricatto perpetuo che ci viene propinato negli ultimi anni: il bisogno di ricapitalizzare continuamente le banche. Più assumono rischi, più devono essere capitalizzate. Peggio: più i rischi assunti si dimostrano sbagliati, fallimentari, maggiori saranno le richieste di capitale.
Ed il capitale costa, costa molto più di un prestito normale. Per questo motivo, le norme spingono inesorabilmente le banche a ricercare le soluzioni di impiego delle proprie disponibilità che offrano la migliore prospettiva di profitto con il più basso profilo di rischio.
Così come misurato dal modello. Non resta spazio alla valutazione umana.
La banca può avere una ottima conoscenza personale di un particolare cliente o settore, una ottima idea di affidabilità del cliente e delle prospettive di reddito della sua attività. Ma se i modelli matematici di cui si è dovuta dotare per la misurazione del rischio non recepiscono queste valutazioni personali.. La banca non eroga il credito. Non può. Andrebbe contro i suoi interessi.
Questo aspetto è cruciale: la scelta di allocazione delle risorse, in ultima analisi viene effettuata... Dalla Banca dei Regolamenti Internazionali!
Le teorie liberiste dell’economia e ancor più le teorie neo liberiste oggi assolutamente predominanti, partono tutte dal presupposto non dimostrato della efficienza della mano invisibile del mercato nell’allocare le risorse esattamente la dove produrranno nuova maggiore ricchezza.
Quella mano invisibile non esiste. Si fonda sul pregiudizio della razionalità e della bontà dei soggetti che operano nella realtà, prendendo decisioni personali, alcuni, prendendo, altri (i regolatori), decisioni che condizionano tutti.
La mano esiste, ma non è invisibile. E’ la mano dei regolatori, quella che disegna i modelli ai quali tutti gli operatori si ritrovano, di fatto, fortemente vincolati. E’ la mano delle istituzioni sopra nazionali, che disegnano i modelli e le regole che disciplinano i mercati finanziari.
E’ quella mano che non solo ha consentito, ma ha voluto e favorito la confusione all’interno degli stessi soggetti economici (le banche) delle due funzioni assolutamente incompatibili di credito e finanza. Confusione che ha di fatto stravolto i meccanismi di allocazione delle risorse.
Senza che gli operatori se ne rendessero conto. E senza che la gente comune abbia la minima possibilità di accorgersene.. Fin quando non scoppiano le bolle speculative. E tutti siamo chiamati a pagarne dolorosamente le conseguenze. Ancora oggi, stiamo tutti facendo sacrifici ingiusti per compensare le perdite delle follie legate alla bolla dei mutio sub prime.
Quelle scelte hanno tolto ai soggetti umani la responsabilità delle scelte di allocazione, per consegnarle, ipocritamente, a dei modelli che non potranno mai essere superiori alla conoscenza umana.
Il management di una banca, che è abituato a ricevere premi molto consistenti anche in maniera abbastanza svincolata dai risultati aziendali, è ben felice di non avvertire più in prima persona la responsabilità della scelta. Poter scaricare la responsabilità verso un modello matematico astratto, per di più imposto da una autorità internazionale, è liberatorio da morire.
Se ci chiediamo come siano possibili certe scelte incomprensibili del sistema bancario.. Potremo trovare in questi meccanismi di deresponsabilizzazione molte risposte.
E’ esattamente dal mito della scientificità di quei modelli che nascono, si gonfiano e scoppiano le bolle speculative.
Facciamo un passo indietro, e torniamo alla scelta che la banca deve fare su come destinare i soldi ricevuti in deposito dal primo cliente.
E’ molto opportuno che le scelte regolamentari spingano le banche a valutare bene il profilo rischio rendimento dei propri assets (prestiti o investimenti).
Però, aver dato alle banche la possibilità di scegliere liberamente se usare le proprie disponibilità per svolgere la funzione fondamentale del credito, oppure se investirle sui mercati finanziari, è una scelta... irresponsabile.
Tornando al nostro esempio, se i modelli di gestione del rischio diranno che nessuno dei potenziali clienti che richiedono un prestito è sufficientemente vantaggioso sotto il profilo del rischio/rendimento (magari solo perché il contesto generale dell’economia non è favorevole), la banca non effettuerà nessun prestito alla clientela. Magari presterà quella disponibilità alla banca centrale per qualche giorno, ad un tasso bassissimo, in attesa di soluzioni migliori.
Oppure si rivolgerà ai mercati finanziari. Se quelli offrono una offerta allettante.. Perché no?
La caratura del modello può fare miracoli nell’orientare la scelta.
Comprare un titolo (azione o obbligazione), rappresenta un rischio importante ed equivalente ad effettuare un prestito, sotto il profilo di assorbimento di capitale.
Ma ottenere lo stesso effetto economico, senza toccare la disponibilità, ed utilizzando uno strumento derivato... No.
La caratteristica fondamentale degli strumenti derivati, dal punto di vista delle banche, è che assorbono uno frazione del capitale che sarebbe necessario se la stessa operazione fosse effettuata con un prestito o con un titolo.
Esempio: comprare un titolo assorbe capitale per x
Comprare un derivato che offra esattamente lo stesso ritorno economico dell’acquisto di quel titolo, assorbe capitale per una frazione di x.. x/10 100 1000..
Questo spiega i numeri che tutti hanno sentito nominare sul volume dei derivati.
Ed aiuta a capire perché, al progredire di questo numero, diminuisce automaticamente la quantità di credito disponibile per prestiti alla produzione.
La scelta fra credito all'economia reale e investimento finanziario è alternativa. Out Out.
Se le autorità ci rappresentano l’esigenza di capitalizzare le banche e di fornire al sistema la liquidità necessaria, dicendoci che serve per finanziare l’economia reale. Se l’autorità al contempo non fa nulla per incentivare il credito ma, al contrario, incentiva di fatto l’investimento finanziario. L’autorità non ce la racconta giusta.
Proviamo a chiederci che fine ha fatto la montagna di liquidità che le banche centrali dei principali paesi hanno immesso nel sistema negli ultimi trent’anni. Briciole nell’economia reale, il grosso nei mercati finanziari. Che, non a caso, si sono gonfiati in bolle speculative. Asset inflation. Crescita dei valori nominali dei patrimoni. Bolla speculativa.
Se il valore di un titolo sale in conseguenza dei profitti realizzati dall'azienda che ha emesso il titolo, bene.Se il valore di un titolo sale in conseguenza di un eccesso di liquidità in cerca di allocazione... male. Si crea una bolla speculativa.Perché le autorità poste a presidio dei mercati finanziari non combattono le bolle speculative? Ci sono molte teorie economiche scritte per giustificare questa scelta. Poco convincenti. Ma c'è, anche, una valutazione dei vantaggi oggettivi che dalle bolle speculative traggono i detentori dei maggiori patrimoni.
Quando sale il valore monetario delle mele.. C’è inflazione, crea problemi.
Quando sale il valore monetario dei titoli o dei derivati, non arrivano nuove mele sul mercato reale, ma ci sono persone che saranno diventate più ricche.. E più potenti.
E’ una ricchezza di carta ma finché c’è ci compri i politici, l’informazione, la ricerca universitaria, le istituzioni sopra nazionali, le banche, le imprese, i regolatori, i controllori, la democrazia.
Ai ricchi di tutto il mondo questi meccanismi fanno veramente molto comodo. Oggettivamente.Quando si sgonfiano le bolle.. i furbi e gli informati sono già scappati, possiamo scommetterci.
E, infatti, mano a mano che questi meccanismi si sono ben stabiliti.. I ricchi sono diventati molto più ricchi, alle spalle di tutti gli altri.
Ci raccontano la balla che la moderna tecnologia rende inutile il lavoro.. Per giustificare i licenziamenti che in realtà sono un brutale abbassamento dei costi necessario ad innalzare i profitti.
Il lavoro non è necessario a far salire il valore nominale dei titoli e dei derivati. Anzi, se i licenziamenti appaiono funzionali al taglio dei costi, e quindi all’aumento dei profitti, i licenziamenti fanno salire i valori nominali di titoli e derivati.La finanza ha un unico obiettivo. Ed è un obiettivo professionale: la remunerazione del capitale ottenuta con il profilo di rischio più basso possibile. Non può essere etica. per dovere professionale. La competizione lo impone.La finanza etica.. è una contraddizione in termini.
C’è, infine, un altro aspetto che interseca le banche con la finanza: nelle operazioni di raccolta effettuata tramite strumenti finanziari. Ma è lungo e complesso, lo tratteremo nella prossima puntata.
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Un vivo ringraziamento a Guido Grossi per averci messo a disposizione il suo impegno disinteressato in favore dei molti che sono digiuni di economia, per aiutarli a comprendere il funzionamento di meccanismi complessi e a volte micidiali.
Amici, voglio credere che l'impegno e la serietà di Guido non siano vani: mi rendo conto che il tempo che si ha a disposizione è limitato e che a volte scarseggia anche la voglia di mettere testa in questi argomenti, tuttavia dobbiamo capire che la mancanza di conoscenza della maggior parte della gente riguardo a queste cose è stato ed è uno dei fattori-chiave che hanno permesso alla potentissima cricca degli investitori e speculatori internazionali di assoggettare l'economia degli Stati e i diritti dei Cittadini alla logica spietata del loro esclusivo interesse.
Svegliarci, interessarci di queste cose e agire assieme per cambiarle invece è nel nostro.
r. v.