lunedì 30 gennaio 2012

Attenzione alla decrescita! Non e' Serena, piuttosto e' Maria: una droga per i poveri

Carissimi, non ho il tempo di fare un post articolato come vorrei, ma mi sento in dovere di limitare, o comunque bilanciare, lo sbandamento verso "La Decrescita Serena" che si sta vedendo in questo sito.
Secondo me questo movimento non portera' miglioramenti e rappresenta una forma di depressione sociale.
A tal fine riportero' in calce degli stralci del testo del libro che sto scrivendo e che e' praticamente concluso e che tange anche questo argomento in un paragrafo.

Andrea Meneghetti

La velocità della vita. Ma la paura e l'ansia del cambiamento nasce anche sul problema della velocità come elemento competitivo ed elemento di disturbo (dell'equilibrio) nella società, ma anche della psicologia del singolo. La società è caratterizzata da un continuo dinamismo, che non sempre tutti riescono a gestire e sopportare, perché oramai abituati ad una situazione che li aveva esclusi dalla competizione più cruda, oppure perché non hanno la plasticità neuronale per affrontare le nuove sfide che il cambiamento porta, anche sotto la spinta di coloro che non hanno nulla e non perdono niente a provare ad avere una condizione migliore. La soluzione a questo dinamismo è diversa per ogni soggetto che cerca di alleviare il disagio psicologico che deriva dal cambiamento.

Decrescita Serena
Un accenno doveroso, anche se tange solo leggermente gli argomenti di questo libro, va al movimento, soprattutto europeo, della “Decrescita Serena”. E' un movimento di carattere moderno che evidenzia una società matura ma che ha in sé il germe dell'involuzione, molto rischioso per la sua sopravvivenza. Quando una società intraprende questi percorsi filosofici manifesta apertamente il sintomo della depressione. [...] 

Riduzione della capacità produttiva. In questo quadro si inserisce il discorso della riduzione della capacità produttiva per motivi etici. Una delle circostanze che si possono creare è che a seguito della propria etica ci si metta un limite anche nella capacità di produrre ricchezza e questo riguarda sia il singolo che la società nel suo complesso. [...]
Evitando tante teorizzazioni, si può spiegare il fatto con un esempio: si decide che l'uso del petrolio inquina e non si vuole più usarlo. Se per motivi etici una persona sceglie, quindi, di non usare più la macchina, come conseguenza c'è un limite nella possibilità di movimento. Infatti, non si può scegliere di coprire grandi distanze a piacimento, soprattutto di notte, tutta una serie di professioni non possono essere svolte perché sarebbe necessario un mezzo proprio per spostarsi e comunque certi lavori non possono essere svolti senza l'uso di un mezzo, come fare il rappresentante. Ma in più, c'è anche un limite nel tempo impiegato a fare le cose: se bisogna spostarsi di tre chilometri in un'area di periferia con la bicicletta, è più impegnativo in termini di tempo che farlo con una automobile. Ciò riduce il tempo a disposizione della persona. Per quello che interessa a noi, tutte le produzioni agricole del mondo sviluppato non potrebbero essere svolte (al momento) senza mezzi agricoli e l'uso del petrolio. Ma non tutti la pensano così: <<Se il petrolio non è più in grado di fare aggio al lavoro – la meccanizzazione agricola ha questo fine – dobbiamo tornare a valorizzare il presidio umano sull'attività produttiva: l'agricoltura contadina o la pesca artigianale rappresentano a tal fine una risposta coerente.>> (Colombo e Onorati 2009, p. 147). Queste forme di “stanchezza” sono sotto certi aspetti deleterie perché richiamano ad un mondo da favola, che in realtà, non lo è mai stato. La fame e la scarsità produttiva (oltre che intellettiva) prima dell'avvento delle tecnologie erano la normalità. Ma ci sono due punti da mettere ulteriormente in luce: 1) se si vuole “tornare indietro” bisogna essere consapevoli che la maggior parte dei nostri orpelli tecnologici dovranno essere abbandonati: dalle televisioni ai computer, dai telefonini all'Iphone. Ma nel contempo dovremo rinunciare alla possibilità di avere una cultura competitiva ed emancipativa e alla possibilità di conoscere altri mondi; 2) se anche si rinuncia al progresso e ci annulliamo, altri prenderanno il nostro posto. Altri con diverse etiche che accetteranno altri livelli di competizione rispetto a chi ha perso forza mentale e si è assuefatto alla ricchezza ed al surplus produttivo.

Ritornando quindi al discorso della decrescita serena, raccontarsi di voler una migliore qualità della vita anche riducendo il reddito sono pensieri non vitali. Rinunce che nei casi più estremi eliminano molti degli strumenti che servono a stare nella società con la conseguenza di avere la difficoltà a vivere. Posto anche che questa scelta sia un'azione volontaria e non coercitiva, in quanti avranno fatto delle rinunce? Ma gli altri faranno lo stesso o vivranno sulle spalle di chi ha rinunciato?
Scegliere di vivere con meno è un pensiero nevrotico perché non riesce a valutare la totalità degli agenti in atto e si mette in una posizione di rinuncia per se stesso e tende a colpevolizzare gli altri, che riescono invece a vivere senza rimorsi.>>



2 commenti:

  1. Personalmente, non condivido quanto è riportato in questo post. Inoltre, non riesco a comprendere perché si debbano sempre e solo osservare situazioni estreme, senza considerare anche quelle intermedie. Per quanto mi riguarda, ho vissuto in pieno gli anni '70 e sotto molti aspetti li rimpiango: recuperare quanto di buono c'era in quegli anni ed eliminare quanto di negativo (=inutile) c'è oggi, secondo me potrebbe essere un modo per vivere in un reale benessere.
    Inoltre, avendo sperimentato cosa significa eliminare un'auto propria e spostarsi in bicicletta o con i mezzi pubblici, posso dire di averci soltanto guadagnato. Ho ridotto sì i guadagni in termini di denaro, ma anche le spese (in particolare quelle sanitarie, quelle per l'attività fisica "coatta", per le assicurazioni obbligatorie, eccetera). Mentre mi sposto non devo spendere le mie energie e il mio tempo per stare attenta alla strada, ma posso concentrarmi molto di più sulle mie cose e, nel contempo, rilassarmi molto di più e far circolare meglio il mio sangue (ricordiamo che ognuno di noi ha bisogno di fare attività fisica almeno due o tre ORE al giorno). Il mio tempo non si è accorciato, ma si è sensibilmente allungato, perché alla fine di una giornata ho ricevuto molti più stimoli di quanti ne avrei ricevuti in una giornata trascorsa a "correre": sono gli stimoli che scandiscono il tempo, non sono i secondi che corrono nell'orologio.
    Il nostro benessere non può non passare attraverso il benessere del nostro organismo.
    Mi auguro quanto meno che tu abbia provato quello che nel tuo libro intendi criticare e mi auguro che per te non esistano solo il bianco e il nero, ma che tu possa considerare anche le innumerevoli sfumature del grigio.

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    1. Il libro e' piuttosto articolato e non parla solo di questo (tratta ti etica agroalimentare).
      Certe volte c'e'bisogno del bianco e del nero per capire bene.
      Io ho vissuto per almeno 6/7 anni questa realta' della decrescita ed ho capito dov'e' il "baco" della teoria della decrescita serena.
      Consentimi solo una cosa, il bianco ed il nero lo applichi tu e non io che lo teorizzo. Infatti, sei tu che, a quanto dici, hai eliminato la macchina, completamente.
      Io invece, ho ridotto al massimo il suo utilizzo, uso anche la bici; questo e' sapere fare sfumature!

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