Grande successo di pubblico per il documentario " Mafi Rabia'- non c'è più primavera" realizzato da Thomas Wild Turolo sui beduini della steppa siriana, sulle linee dell'indagine etnografica del Dott. Alberto Savioli, archeologo dell'Università degli Studi di Udine.
L'evento, ospitato presso Palazzo Giacomelli, sede del Museo Etnografico del Friuli, ha visto una folta partecipazione: infatti, nelle date dell'11 e del 17 febbraio la sala era piena e il pubblico presente ha dimostrato di apprezzare moltissimo conferenze e documentario, che verrà riproposto sabato 25 febbraio ( v. programma della mostra).
Quiudinelibera ha voluto per l'occasione porre alcune domande all'Amico Thomas.
D. : L'evento ti ha lasciato soddisfatto?
R. : L'evento che si concluderà il 29 di febbraio mi ha lasciato molto soddisfatto, il circolo mediatori culturali dell'ACLI attraverso Raquel De La Cruz ha fatto un ottimo lavoro, un evento ben concepito e il cui cervello è stato l'archeologo Alberto Savioli che finalmente ha visto premiato il suo lavoro di oltre una decade, alla ricerca e allo studio dei beduini.
D. : La partecipazione di pubblico certamente non è mancata... le persone si sono dimostrate recettive verso il tema trattato, dunque... in effetti, cos'è stato a muovere il tuo interesse a suo tempo verso questa iniziativa?
R. : Ciò che mi ha spinto ad andare in Siria è stata la curiosità di confrontarmi con un mondo culturale e sociale diversissimo dal nostro, sia nella componente cittadina che in quella beduina, il tutto addizionato da una sana dose di avventura. Sapevo fin dall'inizio che questa iniziativa avrebbe portato a un documentario inedito, perchè ci eravamo ben informati sulle pubblicazioni inerenti ai beduini siriani e con stupore ci accorgemmo che c'era poco e niente. Da qui la decisione di dedicarci a quest'impresa, alla quale abbiamo creduto solo noi, visto che di fondi esterni siamo riusciti solo a reperire qualche spicciolo. Alla fine di tutto questo lavoro posso dirti che siamo stati gli unici a portare (un po' avventurosamente e non proprio in maniera formalmente perfetta) questo tipo di materiale in Occidente, che ora tragicamente diventa attualissimo. Il pubblico, secondo me spinto anche dalla situazione che c'è in Siria ora, oltre che dall'interesse antropologico e etnografico, sta rispondendo alla grande, cosa che soddisfa tutti noi: Alberto Savioli ha la possibilità di far vedere e valorizzare anni e anni di sudate e puntigliose ricerche sul campo, io quella di mostrare cosa significhi costruire un documentario indipendente con la fortuna di ritrarre una geografia umana inedita, i mediatori culturali ACLI quella di dimostrarsi ancora una volta sensibili e attivi nei confronti tra popoli e culture diverse. Una bella occasione di fare bene per tutti!
D. : Come hai vissuto il rapporto con i beduini siriani, dal tuo punto di vista di occidentale e al contempo di professionista della videocamera?
R. : Il rapporto con i beduini siriani è stato incredibilmente "denso", ho avuto a che fare con persone completamente scevre da schemi tipicamente occidentali di comunicazione. Sono persone accoglienti in genere, poi ovvio ci sono eccezioni, ma che mi hanno sorpreso nella volontà di condividere quel poco che possiedono, nel valore che danno al silenzio in comunità e nel sorriso anche nell'ambiente più ostile e nella condizione economica più complessa. Ho appreso tanto da loro, ho ricalibrato alcuni valori della vita. E' un'umanità nomade che nel giro di qualche decennio perderà la componente migratoria del suo essere proprio per la grave difficoltà che sta attraversando. Mi sono avvicinato a loro con l'animo più puro possibile, cercando di eliminare da me idee superflue e cercando di viverli, adattandomi al loro vissuto. Ogni tenda che visitavamo era una storia se, quindi ogni ripresa che si è potuta effettuare è stata vissuta e complessa, guadagnata attraverso un atto di fiducia. Non ti nego che ci sono stati alcuni attimi di difficoltà o anche di pericolo sul territorio, ma ho sempre tenuto salda alla mano la telecamera e alla fine tutto è andato bene.
D. : Secondo te, cosa possiamo fare noi europei per aiutare quel popolo a non essere travolto dalle vicende di questo difficile periodo storico?
R. : Gli europei possono fare parecchie cose, purché non siano quelle che hanno già fatto in Siria, perchè ho visto e conosciuto storie che non mi sono piaciute per nulla. Ho l'impressione che dove c'è un paese depresso o da aiutare a sviluppare ci sia anche una forte speculazione che si muove verso esso. Detto questo, credo che ora l'unica cosa possibile sia informarsi bene su cosa stia accadendo in questo meraviglioso paese, cercare qualche via per gli aiuti alla popolazione (anche se ora mi sembra tutto bloccato); sostenerli anche solo attraverso il web può sembrare cosa piccola, ma in realtà non lo è. Ovvio, ribadisco che serve ben altro, ma i siriani hanno un bisogno estremo che il mondo sappia di loro, del loro regime, della loro primavera di conquista democratica, nella speranza che non sfiorisca.
D. : C' è qualcosa, un ricordo, un'immagine, una situazione in particolare che non si sbiadirà nel tempo che questa esperienza ti ha lasciato?
R. : Non posso parlare di un solo ricordo, perchè tutto rimarrà nella mia mente di questa esperienza, non c'è una cosa che metterei in particolare, tutte le dovrei menzionare e non finiremmo più. C'è una frase che ho in mente da quando son partito, da quando mi hanno accompagnato a Damasco in aeroporto, mentre guardavo scorrere il paese dal finestrino, ed è questa, che mi sono scritto in inglese su un taccuino ma che ora traduco: "La Siria è come la sabbia del suo deserto, entra ovunque, è sempre nell'aria, ma ne percepisci la presenza ed il peso su di te soltanto quando ti muovi e te ne vai, guardandoti i vestiti, percependola nell'anima."
Questo è quello che ho dentro di questo paese e di questa esperienza.
D. : Se tu dovessi tornare in Siria, che cosa ti piacerebbe rivedere e cosa invece speri che da quando ci sei stato sia potuto cambiare?
R. : Vorrei rivedere con un po' di calma Damasco e Aleppo, città meravigliose e intrise di ogni cosa. Vorrei non rivedere più l'estrema povertà, vorrei.
D. : Progetti tuoi per il futuro?
R. : I progetti per il futuro sono allo stato attuale far valere al meglio questo materiale documentaristico sperando che trovi una sua collocazione sul mercato e poi purtroppo a essere sinceri, lavorare fuori dall'Italia, perchè qui a volte mi sento soffocare per la cultura insita dentro gli italiani, non tutti, ma molti. Mi atterrisce a volte questo paese, perdonatemi lo sfogo.
D. : C'è qualcosa che vorresti dire ai lettori di Quiudinelibera?
R. : L'unica cosa che sento in animo di dire ai sensibili lettori del blog è di credere in voi stessi, non mollare mai e di tenere sempre gli occhi aperti. A volte si è più sereni se orbi temo, ma guardando si vive, cosa impagabile.
Renato Valusso