mercoledì 7 marzo 2012

SOVRANITA' POPOLARE, DEMOCRAZIA DIRETTA E FEDERALISMO: CONTRIBUTI DI ENZO TRENTIN, GUIDO GROSSI E GIANFRANCO LEONELLI.


Gianfranco Leonelli  La sovranità popolare come recita la Costituzione Italiana è la condizione per cui il popolo è l' unico che può decidere del suo destino. La Costituzione inoltre affida agli organi competenti la definizione degli strumenti attraverso i quali si esplica la sovranità. Alla luce di quanto avviene in Italia non credo che si possa dire che i cittadini possano essere soddisfatti dall'applicazione di questa prerogativa, anzi gli strumenti individuati assegnano quasi esclusivamente ai partiti il carattere di rappresentanza ma questi partiti non solo non rappresentano più la volontà dei cittadini ma non sono più considerati credibili (solo il 4% è soddisfatto del comportamento degli stessi). Quindi la prima domanda che ci dovremmo fare è: che cosa rimane della sovranità popolare ed in base a quale delega i partiti ( ed ora il Governo tecnico) esercitano il potere legislativo? Quindi la seconda domanda: come ridare significato al dettato costituzionale?

Guido Grossi passiamoci una mano sulla coscienza: anche noi cittadini abbiamo smesso di partecipare, di interessarci, di capire e criticare. Abbiamo lasciato tutto in mano ai rappresentanti, mentre ci siamo rinchiusi nel nostro privato.
ora ci risvegliamo accorgendoci che quelli, nel frattempo, hanno occupato le istituzioni, modificato le regole del gioco, e piegato le istituzioni italiane ed europee agli interessi di pochi ricchi, furbi e disonesti.
certo loro sono in mala fede ed hanno una responsabilità grave.
Ma ci serva di lezione: mai distrarci e lasciarli fare..


Gianfranco Leonelli Abbiamo lasciato tutto in mano ai rappresentanti o ci siamo trovati di fronte all'impossibilità di contare qualcosa? Chiunque ha militato in qualche partito negli ultimi 20 anni sa per esperienza che per contare qualcosa si è costretti ad organizzarsi intorno al notabile di turno e quando si è raggiunta una certa visibilità se non si rispetta la logica della "banda" si ripiomba nell'anonimato. Quindi, per me, vanno individuate nuove forme di partecipazione di massa che partano dalla consapevolezza che i partiti attuali sono di fatto personali.


Guido Grossi Gianfranco non ho dubbi sulle colpe della attuale classe dirigente
ma se la gente avesse partecipato sempre attivamente e numerosa.. avrebbe senz'altro trovato il modo di farsi rispettare:non è sbagliata l'"istituzione" partito,
è sbagliato il modo in cui quelli attuali sono stati realizzati. Senza statuti democratici, verticistici.. ormai autoreferenziali.
Nulla vieta di fare un partito veramente democratico e partecipato, che sappia ascoltare i cittadini e rappresentarli.


Gianfranco Leonelli Condivido, Guido in quanto credo nella organizzazione ma credo anche che vada fatta una precisa analisi della forma partito e costruiti nuovi modelli partecipativi più ispirati ai movimenti ed a modelli federativi che alla riproposizione di forme che strutturalmente risultano inadeguate alla partecipazione fattiva.

Si deve riconoscere che l’espressione “democrazia diretta” è affetta da un pleonasmo e che l’espressione “democrazia rappresentativa” costituisce un ossimoro. Dove c’è democrazia, infatti, c’è decisione popolare diretta (nel senso appena indicato). Dove, invece, vi è rappresentanza non v’è democrazia. La distinzione, ben tracciata, di là dall’Atlantico, da James Madison (con la sua opposizione tra la “pure democracy” e la “republic”) trovò, peraltro, la sua più chiara formulazione in Emmanuel-Joseph Sieyès, nel suo decisivo intervento alla Costituente, il 7 settembre del 1789: il “concours immédiat” alle decisioni pubbliche è quello che “caractérise la véritable démocratie” ; il “concours médiat”, invece, “désigne le gouvernement représentatif”. Pertanto, “la différence entre ces deux systèmes politiques est énorme”.

Guido Grossi Questa Unione Europea si sta dimostrando per quello che è: istituzioni complesse e poco trasparenti al servizio dei ricchi e dei potenti. Lontane dai bisogni dei cittadini.
Forse bisognerà davvero uscirne per rifondare l'Europa dei popoli.


Enzo Trentin I partiti post-ideologici sono «illegittimi» nel modo più radicale.
Sotto i loro artigli, lo Stato è diventato uno spazio vuoto, pieno solo del denaro dei contribuenti; una res nullius esposta al saccheggio. 
Per pensare a un rimedio, bisognerebbe essere capaci di ripensare radicalmente la democrazia. E avere il coraggio di pensare a una democrazia senza partiti.
Naturalmente, sentiamo già tutto un insorgere di obiezioni. Democrazia senza partiti! E’ una contraddizione in termini. Oppure una surrettizia proposta totalitaria?
Invece no! 
A proporre una democrazia libera dai partiti fu non già un dittatore, ma Simone Weil. Incaricata, nel 1943, dal governo di De Gaulle in esilio, durante la guerra, di elaborare una forma di costituzione per la Francia futura, essa pensò in modo radicalmente nuovo. A come garantire la libertà da ogni limite: e l’esistenza di partiti era, per lei, il limite più insidioso. 
Il risultato del suoi pensieri è scritto nel suo libro migliore: «L’enracinement» (nell’edizione italiana, «La prima radice»).  Ed anche nel: «Manifesto per la soppressione dei partiti politici»
Vi si legge: 
«Dovunque ci sono partiti politici, la democrazia è morta. Non resta altra soluzione pratica che la vita pubblica senza partiti.» 

Bisogna creare un'atmosfera culturale tale, dice Simone Weil, che «un rappresentante del popolo non concepisca di abdicare alla propria dignità al punto da diventare membro disciplinato di un partito». Simone Weil respinge l’obiezione che l’abolizione dei partiti avrebbe colpito la libertà d’associazione e d’opinione. «La libertà d’associazione è, in genere, la libertà delle associazioni», contro quella degli esseri umani. 

Infatti, «la libertà d’espressione è un bisogno dell’intelligenza, e l’intelligenza risiede solo nell’essere umano individualmente considerato. L’intelligenza non può essere esercitata collettivamente, quindi nessun gruppo può legittimamente aspirare alla libertà d’espressione.»


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