domenica 31 luglio 2011

Il centrosinistra e le inchieste dei giornalisti: interessante...


Il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2011

Chi tocca la sinistra muore
dal blog di Ferruccio Sansa

Chi tocca il centrosinistra muore. “La macchina del fango comincia a girare”. Dopo aver ascoltato le parole di Pierluigi Bersani, gli accenti berlusconiano-vittimisti del segretario Pd, sento che per una volta posso contravvenire a una delle regole auree del cronista: mai parlare di se stessi.


E così racconterò dell’amara esperienza di diventare una specie di paria, un intoccabile nella mia città perché ho osato scrivere inchieste sul centrosinistra. Ma prima faccio una premessa. Nel corso degli anni ho parlato di decine di politici di entrambi gli schieramenti: Alemanno, Formigoni, Moratti, Storace, Berlusconi, Matteoli, Galan, Romani, Romano, Scajola, Grillo (Luigi), Calderoli, Bossi, D’Alema, Bersani, Penati, Burlando. Tanto per fare alcuni nomi. Gli esponenti di centrodestra sono la maggioranza.

Però dopo vent’anni di lavoro (prima di approdare al Fatto sono stato al MessaggeroLa RepubblicaIl Secolo XIX La Stampa) una cosa posso dirla: i fastidi che mi hanno procurato le inchieste sul centrosinistra non hanno uguali. Certo, il centrodestra è più duro, diretto, usa nei confronti dei giornalisti una logica proprietaria. Un certo centrosinistra no, non ti schiaccia direttamente, preferisce la calunnia, l’insulto, la telefonata a direttori ed editori.

Con un’aggravante: l’arroganza del centrodestra, seppur più violenta, non pretende di essere “giusta”, ha lo scopo manifesto di metterti a tacere. Il centrosinistra è diverso: si sente investito di una missione, chi osa metterlo in discussione è “disonesto”, “in mala fede”, “vendicativo”, “scorretto”. Tutte accuse che mi sono state rivolte, sempre in forma anonima e senza lo straccio di una prova.Ma veniamo ai fatti. Mi capita anni fa, mentre seguivo lo scandalo Antonveneta, di raccontare i rapporti di Gianpiero Fiorani con noti esponenti politici. Per giorni descriviamo i legami della Lega con il re delle scalate bancarie. Non succede nulla. Poi ecco che arriva la prima notizia su un esponente del centrosinistra: il contratto di leasing dello yacht di Massimo D’Alema è stato stipulato con una società legata alla Banca di Lodi. Niente di illegale, ma una storia che è giusto approfondire e magari riferire ai lettori. Risultato: mezz'ora dopo il mio colloquio con D’Alema arriva al giornale una telefonata che annuncia, in caso di pubblicazione, una denuncia per violazione del segreto bancario. Il giorno dopo D’Alema diffonde un comunicato e racconta “spontaneamente” l’episodio.Piccolezze, si dirà, come decine di altri episodi. Ma i guai seri vengono quando decido di scrivere degli intrecci tra politica (di centrosinistra, come di centrodestra) e affari che stanno dietro alla cementificazione della Liguria. Non arriva una riga di smentita o querela, del resto sarebbe stato difficile, visto che ogni parola dell’inchiesta è documentata. Ma quando compare il primo articolo subito mi chiamano dal mio giornale: “Ferruccio, una persona ai vertici del centrosinistra ha fatto una telefonata ai massimi livelli. Dice che hai scritto un articolo pieno di falsità. Noi non ne teniamo conto, ma tu sappilo”.


Era l’inizio. Quando con il collega Marco Preve scrissi il libro, “Il partito del cemento”, dedicato alla passione bipartisan dei politici liguri per il mattone, mi dichiararono guerra aperta. Si parlava, tra l’altro, con anni di anticipo rispetto all’inchiesta della Procura di Roma, dei legami dei vertici del partito nazionale e ligure con Vincenzo Morichini, Franco Pronzato e i loro soci. Ancora nessuna replica. Un muro di silenzio.

Finché mi venne offerto un posto di rilievo in un grande giornale. Dopo mesi venni a sapere che proprio nel periodo della trattativa i vertici del Pd nazionale avevano fatto arrivare il messaggio che l’incarico non era gradito al partito.Insomma, la mia carriera ha rischiato. E anche il clima che respiravo in città è cambiato. Quando mi presentai nella sede del Pd genovese per scrivere un articolo sulle elezioni regionali del 2010 uno dei massimi dirigenti locali mi accolse così: “Ecco l’amico di Berlusconi. Vergogna, vattene”, e via con accuse e insulti.Ma agli insulti, soprattutto se deliranti, è facile rispondere. Peggio sono le calunnie: non hai un interlocutore cui replicare. Di più: se ribatti dai dignità alle accuse che ti sono rivolte, le ingigantisci, dai loro concretezza. Insomma, devi subire.E lascio perdere gli episodi più pittoreschi, come quando mi avvertirono che qualcuno nel Pd faceva circolare l’immancabile voce che ero omosessuale, anzi, “buliccio” come si dice a Genova. Ne parlai con mia moglie, sorridemmo sorpresi: per me ovviamente non era un insulto, ma mi stupiva che qualcuno in un partito che si dice progressista lo considerasse tale. Lentamente la tenaglia, però, si stringeva. Difficile vivere nella vostra città quando venite condannati all’ostracismo dal partito che governa da decenni, che guida gli enti locali da cui arrivano milioni di euro in pubblicità istituzionale a puntellare i bilanci di tutti gli organi di informazione (un’altra inchiesta poco gradita dal Pd). Si finisce cancellati, pesantemente insultati a incontri pubblici (è toccato perfino alla mia famiglia, colpevole di avermi messo al mondo). Insomma, intoccabili. Finché sono arrivato al Fatto, che per fortuna è impermeabile a certi interventi.


Mai nessuno, però, che abbia risposto alle nostre inchieste in modo documentato. Bersani, tengo a dirlo, non è mai stato coinvolto negli episodi che ho citato. Ma forse sarebbe bene che li conoscesse, prima di invocare la macchina del fango e vestire i panni della vittima.

*Non ho fatto volutamente i nomi dei protagonisti e dei testimoni di questi episodi. Posso scegliere di affrontare una battaglia, ma non posso trascinarci anche gli altri.

sabato 30 luglio 2011

Diatriba al Parlamento Europeo: Nigel Farage contro il Presidente Van Rompuy

Non a tutti gli Eurodeputati il sistema UE piace: nei due video che Vi propongo di seguito assistiamo ad una schermaglia tra Nigel Farage (v.) , leader del Partito per l'Indipendenza del Regno Unito (UKIP) e l'attuale Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy (v.), membro del Gruppo Bilderberg (v.) ed inviso a Farage che al tempo del suo insediamento, come si può vedere nel primo video qui sotto, lo attaccò con un plateale: " Chi è Lei? In Europa nessuno ha mai sentito parlare di Lei" ed altre amenità, che costarono all'eurodeputato britannico tremila euro di ammenda e che misero Van Rompuy, Presidente non eletto dal popolo europeo e sconosciuto ai più, nella condizione di dover giustificare alcune decisioni definite da Farage come "non democratiche" relative a delle misure speciali per salvare le istituzioni finanziarie, come vediamo nel secondo video postato.
Tutto questo avveniva il 24 febbraio 2010.
Ne avevate mai sentito parlare?
Per comprendere meglio l'importanza delle decisioni della UE e la portata dei poteri del Presidente del Consiglio Europeo cliccate qui.

 r. v. 



Guarda il video su You Tube



Guarda il video su You Tube                                                                                        


Il Potere Finanziario e i suoi organi esecutivi: i Suggeritori

Cari Amici di Quiudinelibera, eccoci arrivati al nuovo capitolo dell'analisi storico-economica di come i grandi potentati finanziari dell'Occidente hanno strutturato la loro immensa influenza sugli Stati, le Leggi e i Cittadini, segnatamente negli ultimi quarant'anni, imponendo un modello di sviluppo di tipo liberista che ha cancellato di fatto ogni possibile alternativa di mercato, allo scopo di favorire i loro grandiosi interessi; come abbiamo visto, sono arrivati a questo risultato attraverso la creazione pilotata di enormi strutture di potere sovranazionale, quali la Commissione Trilaterale (v.), il Club o Gruppo Bilderberg (v.), l'Organizzazione Mondiale del Commercio o WTO (v.), l'Europa del Trattato di Lisbona (v.), servendosi delle teorie di economisti come Milton Friedman (v.) e della collaborazione di brillanti intellettuali quali Lewis Powell, Samuel P. Huntington, Michel Crozier, Joji Watanuki ed altri, finanziando il tutto con mezzi economici immani.
Per un ulteriore approfondimento su quanto scritto sopra, rimando qui e qui.
In realtà, un diverso modello di sviluppo economico, più equo e democratico, era possibile, e di questo fanno fede l'opera di un grande economista come John Maynard Keynes (v.) e quella del Premio Nobel per l'Economia Paul Anthony Samuelson (v.) ma ciò sarebbe andato a detrimento degli interessi dei grandi gruppi finanziari e dei grandi speculatori e pertanto l'affermarsi di ogni idea economica che si contrapponesse al liberismo (v.) andava stroncato sul nascere.
Ma come ha fatto questa gente a far passare il convincimento generalizzato che l'unico sviluppo economico possibile fosse questo modello, che sta lentamente e inesorabilmente conducendo l'Occidente verso il depauperamento di tutte le risorse, che sta sempre più svenando gli Stati e impoverendo sempre di più milioni e milioni di lavoratori e le loro famiglie, che erode ogni giorno di più i servizi pubblici essenziali, che mira a privatizzare tutti i beni per farli poi pagare ai cittadini a prezzi esorbitanti?
Questo immenso potere, il Potere delle grandi élite, il Vero Potere ha saputo e potuto fare questo attraverso un'idea, l'idea sintetizzata da Lewis Powell nel suo Memorandum del 1971 (v.) , divenuto in seguito il vademecum delle destre finanziarie internazionali, un libretto di appena undici pagine nella versione originale ma che conteneva in nuce tutte le indicazioni utili ai Padroni del Vapore per diffondere la mentalità ad essi più confacente, a partire dalle scuole e dalle università, università che all'epoca, per strano che ci possa sembrare oggi, erano pervase da idee di equità sociale ed economica tipicamente di sinistra, anche le università americane: bisognava quindi agire infiltrando ovunque l'idea economica liberista, si doveva perciò creare dei gruppi di pressione più o meno  occulti che esercitassero in tutti i luoghi più importanti della cultura, della politica e dell'economia un'influenza decisiva.
Eccoci arrivati all'argomento di questo post: i Suggeritori.
Cedo ora la parola, come già in precedenti post, al giornalista Paolo Barnard, forse il massimo esperto italiano di questa materia, certamente l'unico suo divulgatore.
  r. v.

                                        I suggeritori 
(Sintesi tratta dal saggio di Paolo Barnard: Questo è il potere )

Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.
In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane.
In Italia esiste un vuoto normativo sull’attività delle lobbies: I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti, fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni IstituzionaliBurson-Marsteller,Beretta-Di Lorenzo & partners…). Le cose funzionano più o meno così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. Il denaro sommerso versato alla politica italiana proviene dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.
I ‘suggeritori’ americani. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. 
Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), oltre 2 milioni di persone ammazzate, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? I membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
 Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama
nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il culo dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei criminali finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). È il solito sistema: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? 38 milioni di dollari. Poi ci sono i 45 milioni di cittadini statunitensi senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Oltre 20 milioni di dollari. 
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina. 
Sulle Lobby ebraiche
Nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano invadeva nuovamente i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma, inaspettatamente, durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC(American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America),AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.
Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
Europa, cioè l’Unione Europea
Cioè Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo NON eletto di tutti noi, con poteri sovranazionali. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. Ecco i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Buisness Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra esse: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che produce anche armamenti), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche, Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Il potere reale ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi dei cittadini e tutelare le minoranze..  

I POST DEI LETTORI

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QUIUDINELIBERA E' UNA VOCE SINCERA.


venerdì 29 luglio 2011

Scrive Gianni Minà, un 73nne che sembra avere ancora molto da dire

Dal blog di Gianni Minà (wikipedia)

Perdenti e contenti a sinistra
Articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 25 giugno 2011

Anche dopo il risultato esplicito delle amministrative in città come Milano, Napoli, Cagliari, e Trieste e dopo la devastante sconfitta (per il governo) nella consultazione referendaria su acqua, nucleare e legittimo impedimento, c'è chi a sinistra continua pateticamente ad attribuirsi i meriti della ribellione epocale espressa dalla società civile italiana e, dall'altra parte, nella destra, chi si affanna ancora a negare il significato, la portata di una sconfitta che ha messo Berlusconi e la stessa Lega con le spalle al muro.
La vittoria di un'Italia stanca ma non doma, completamente e palesemente sganciata dai partiti, perfino di parte del cosiddetto centro sinistra, anche dopo settimane, viene elusa, sminuita e c'è perfino chi, nella parte progressista, riprende a fare i soliti discorsi, quelli che hanno portato a tante sconfitte, cominciando dalla bicamerale, un inciucio che salvò dal baratro di seimila miliardi di debiti con le banche il Cavaliere Silvio Berlusconi, permettendogli addirittura di diventare il padrone d'Italia.
E' triste riascoltare i soliti stantii discorsi, che sottintendono le solite inquietanti concessioni a quella parte della società italiana diventata padrona, senza alcun ritegno, del nostro destino (dalla pervicace elusione del problema legato al conflitto d'interessi di Berlusconi, ai cedimenti di fronte ai ricatti della Lega).
Nanni Moretti, con la lucida preveggenza degli artisti, ci aveva messo, non a caso,  in guardia già nove anni fa. Come ricordano in molti, l'occasione fu una manifestazione organizzata a Roma, a piazza Navona, dalla dirigenza dello spaurito gruppo dell'Ulivo. Nanni, a sorpresa, stupendo coloro che lo consideravano un intellettuale schivo e senza particolare simpatia per la politica, era salito sul palco dove militanti cosiddetti “riformisti” avevano espresso il loro vittimismo, e con la veemenza tipica dei suoi personaggi cinematografici aveva esclamato al microfono: “Con questi dirigenti non vinceremo mai. Offrono uno spettacolo penoso. Quante generazioni dovranno passare, due, tre, quante per poter tornare a vincere?”.Purtroppo la previsione si è rivelata esatta. Ci è voluto un decennio di mortificazioni e offese (perfino nella promulgazione da parte del ministro Calderoli di una legge elettorale iniqua, “una porcata” come lui stesso l'ha definita) perchè i cittadini dicessero “basta!”. Mentre molti dei riformisti, per anni, non hanno trovato niente da ridire su un marchingegno che non permette agli italiani nemmeno di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, ma li obbliga a delegare per questa incombenza proprio l'apparato dei partiti.Così adesso sentir parlare molti di questi “perdenti contenti” lascia veramente perplessi.Perchè quella sera del febbraio 2002 a piazza Navona, Nanni Moretti ricevette l'approvazione di Paolo Silos Labini, Massimo Fini e “Pancho” Pardi, ma non certamente quella dei vari Fassino, Rutelli e ovviamente D'Alema, che aveva lasciato la piazza senza nessuna voglia di mettere in discussione le sue idee da tempo senza seguito fra le gente.In Francia il socialista Lionel Jospin, dopo aver mancato nel 2002 la rielezione a presidente, aveva lasciato ancor giovane ed era uscito dalla politica. Da noi, invece, con supponenza, le sconfitte, anche a sinistra, non hanno quasi mai sollecitato un atto di umiltà.

Si bombardava Belgrado, si disertava magari, con vera ignavia, il G8 dove la maggior parte dei presunti “eversori” picchiati o torturati erano cattolici con i loro parroci e si arrivava addirittura a definire sinistra estrema, che favoriva Berlusconi, quella che con molta logica continuava a insistere sull'inadeguatezza del Cavaliere, sull'inverecondia delle sue scelte e sul suo insopportabile uso della televisione e di tutti i mezzi di comunicazione, inaudito in qualunque paese democratico del mondo.
Questa volta si è lasciato solo lo scaltro Di Pietro nella scelta di quattro referendum fondamentali per la nostra società, salvo poi ad accodarsi, perchè per fortuna Bersani non è D'Alema.Certo, Pisapia, il candidato di Vendola che vince a Milano e De Magistris, il candidato di Di Pietro che trionfa a Napoli (dopo un tentativo abortito di far eleggere un rappresentante della vecchia politica sconfitta e inquinata), non depongono sulla perspicacia di un partito democratico che si dice riformista.Non è un caso che, commentando la debacle, due politici con il pelo sullo stomaco come i ministri Matteoli e Sacconi (il socialista che fece la guerra alle scelte private del povero padre di Eluana Englaro) hanno definito “un modo obsoleto di fare politica” il plebiscito dichiarato del popolo italiano  nell'approvazione dei referendum. Tutto quello che sa di democrazia non entusiasma questi “politici a parole”.Così non mi stupisce che ora, anche nel PD, recuperato finalmente ad una battaglia vittoriosa, alzi la voce chi, non avendo nessun merito, vuole dettare la linea e ovviamente, dopo un successo che sa molto di ribellione ad un tran tran politico inverecondo, consigli invece pervicacemente di fare scelte di centro, non progressiste.Mi viene in mente, a questo proposito, una riflessione di quell'affascinante ed ironico scrittore messicano, Paco Ignacio Taibo II, che commentando una situazione quasi analoga nel suo paese ha scritto: “Todos ahora quieren ir al centro. Pero el centro es la nada” (Tutti adesso vogliono andare al centro. Però il centro è il nulla), aggiungendo: “O eres de izquierda o eres de derecha, todo el resto es disfraz” (O sei di sinistra o sei di destra. Tutto il resto è travestimento).Se ci si traveste forse si va in Parlamento, ma non si aiuta il paese a tirarsi fuori dal pantano dell'attuale politica.

La fine del Neoliberismo: indignazione e proteste di piazza anche a Tel Aviv

da il Fatto quotidiano del 29 luglio 2011

Crisi anche in Israele, gli “indignati” contro il premier Neatanyahu

Gli indignati israeliani, che da due settimane protestano in tutto il Paese contro il caro vita e l’inflazione, domani usciranno dalle loro tende di fortuna per marciare uniti verso l’ufficio del primo ministro Netanyahu. Ai giovani e ai tanti indigenti che non riescono più a sopravvivere nella “terra promessa”, si uniranno anche i medici che da giorni sono entrati in sciopero. La loro indignazione del resto è molto simile: chiedono l’aumento dei salari, sempre più inadeguati a far fronte all’incremento del lavoro e alla simultanea perdita del potere d’acquisto dei loro salari.

La marcia, a cui parteciperanno anche i rappresentanti del gay pride, sarà un atto d’accusa nei confronti delle politiche liberiste del premier Bibi Netanyahu, leader dei conservatori del Likud. Che questo movimento dal basso possa mandare davvero in crisi il governo, è la sua trasversalità: la working class così come il ceto medio – la maggior parte vota Likud – sono esausti. Affittare una casa o attivare un mutuo è diventato un problema serio per tutti, tranne che per i ricchi ebrei americani che hanno drogato il mercato, acquistando seconde case nel cuore di Tel Aviv a prezzi esorbitanti. Così acquistare una casa costa il doppio rispetto a cinque anni fa e affittare uno scalcinato bilocale nel centro di Tel Aviv costa quanto a piazza di Spagna e in ogni caso intorno ai mille e cinquecento euro mensili. A provare il carattere sempre più politico della protesta è la certa – stando alle ultime notizie date dal quotidiano Hareetz – partecipazione alla marcia di domani della leader del partito di centro Kadima, Zipi Livni.
 Labour party, da pochi mesi orfano di Ehud Barak, che ha preferito lasciarlo pur di rimanere ministro della Difesa nell’attuale governo di destra, invece resta in silenzio. Contribuì, in accordo con il Lijud a rivedere verso il basso il welfare. Fu uno dei passi falsi più clamorosi di questo partito, che da tempo non rappresenta più una credibile alternativa alla destra e ai partiti religiosi. Anche i giovani coloni e gli ultraortodossi vorrebbero protestare e si sono affacciati sempre più numerosi sulle piazze di Gerusalemme e Tel Aviv, dove i manifestanti hanno bloccato le arterie principali con sit-in permanenti.“Nessuno ha intenzione di andarsene – dice Roi, un giovane medico di Tel Aviv – per entrare alla facoltà di medicina bisogna superare test durissimi e dopo tanti sacrifici ora mi trovo ad avere uno stipendio con cui riesco appena a pagarmi un monolocale e a comprare da mangiare. Esco poco perché sono stanco e ho spesso turni di notte ma non è possibile vivere così, sempre attenti a tutto. E comunque una casa decente non potrò comprarla se i prezzi resteranno questi”. Ma Roi non è certo il più sfortunato. Shira è un avvocato, laureata da due anni, che lavora in uno studio associato di Gerusalemme: “Non riesco a vivere da sola. Devo condividere l’appartamento con due colleghi. Prendiamo troppo poco, abbiamo appena aperto lo studio. Le cose però non vanno molto bene. La gente comune non ha i soldi per pagarci e spesso aspettiamo mesi prima di venire pagati”.

Due soldatesse che vivono nel sud di Israele si lamentano perché, essendo di stanza a Tel Aviv, hanno dovuto affittare un appartamento. “Quando ci danno i congedi di due o tre giorni non possiamo tornare al sud e quindi condividiamo casa con due ragazzi di Jaffa. Loro lavorano in una casa in un centro commerciale e in una casa di riposo”. I soldati di leva fino a qualche anno fa avevano delle agevolazioni ma ora non più. E il malcontento nell’esercito non è un bel presagio per il governo Netanyahu che ha dovuto rinunciare a un viaggio in Europa per occuparsi di piani urbanistici e smorzare le proteste con iniziative di edilizia popolare. Disegni di legge che sono già stati bollati come insufficienti. Nelle strade di Tel Aviv e di Gerusalemme, le due città principali, aumentano di giorno in giorno barboni e giovani senza tetto. Nei pressi della stazione degli autobus di Tel Aviv, ai giovani gay senza tetto, sbattuti fuori di casa dai genitori e costretti a prostituirsi, si aggiungono costantemente ragazzi ebrei e arabi israeliani disoccupati.

Il sole e il mare di questa città, un tempo meta ambita di tutti i giovani israeliani, non bastano più a scacciare le preoccupazioni per un futuro sempre più incerto. Ma a questo punto il futuro è incerto anche per qualcuno che vive nella strada più bella e costosa di Gerusalemme: Bibi Netanyahu, che ieri ha dovuto rinunciare alla partenza per un giro di consultazioni sull’imminente procalmazione dello Stato palestinese all’assemblea dell’Onu.
di Roberta Zunini